Il progetto sonoro F/ear this! intervista a Marco Pandin

F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear - yellow cover - copertina gialla

Ve li ricordate gli anni’80? Verso il 1986 e il 1987? In quel periodo c’era ancora lo scontro fra le due super potenze: gli U.S.A. e l’U.R.S.S. con lo spettro che accompagnava la corsa agli armamenti atomici. In Italia esisteva un modello di società meno libera: guidavano la democrazia cristiana e il partito socialista, gli anni di piombo erano appena trascorsi. Poco dopo accadde l’incidente nucleare a Chernobyl: “… un guasto terribile ad una centrale nucleare che distava da noi neanche un paio di giorni di viaggio: sembrava che i nostri incubi prendessero una qualche forma fisica…“. Un gruppo di giovani, fra Padova e Venezia, ebbe l’idea di mettere insieme, con il supporto e la collaborazione di amici musicisti, grafici e poeti sparsi un po’ ovunque, dei contributi collegati o collegabili ad un tema comune: la “paura”. Paura era un sentimento comune: “… facciamo qualcosa allora, cerchiamo di protestare, di alzare il volume. Cerchiamo di diffondere, di mobilitare, di passare la parola e condividere il senso di allarme. Eravamo un’accozzaglia di fanzinari e musicisti, ci siamo detti facciamo un disco …”. Marco Pandin, uno degli ideatori, ricorda così la scintilla che accese il doppio album del 1987 ” F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear “.

Quest’anno, finalmente, esce una riedizione in doppio CD e con libro, arricchita di brani e contenuti grafici in più. Musicalmente un doppio album molto interessante nella sua eterogeneità di stili musicali, drammaticamente attuale. I musicisti interpretano un sentimento così umano, raccontandolo in vari modi, tutti molto significativi e personali. Per me è stata una buona occasione per farmi raccontare da Marco la genesi di “F/ear this!” e le situazioni che lo crearono.

Domanda: Marco, per prima cosa, come stai ?

Risposta: Benone, per quanto possibile. Per fortuna mi piace leggere ed ascoltare musica, così le giornate in casa passano abbastanza velocemente. Ho dato una sistemata alla libreria e in mezzo al casino ho trovato dischi che neanche ricordavo di avere. Certo mi manca poter girare, ho promesso a un sacco di amici e compagni da Aosta a Bergamo a Perugia a Catania che andrò a trovarli appena finirà la peste.

D: Sei stato l’ideatore fra il 1986 e il 1987 del progetto grafico sonoro “F/Ear this!“, sbaglio o non nasce per caso?

R: La cosa da precisare subito è che non ero da solo: “F/Ear this!” è stato un lavoro collettivo, io ho soltanto messo insieme i pezzi.

D: Marco, il tuo recente passato era fatto di esperienze editoriali e discografiche indipendenti, “F/Ear this!” è un naturale proseguimento. Chi ti ha aiutato?

R: Tramite la fanzine Rockgarage col tempo avevamo messo in piedi un po’ di giro e preso contatti con altri ragazzi e gruppi attivi in città anche lontane da Venezia – ad esempio i Franti a Torino, i Diaframma a Firenze, gli Spleen Fix a Salerno. Siamo stati invitati dall’Arci ai primi Meeting delle etichette discografiche indipendenti a Firenze, dove s’è potuta incontrare parecchia gente anche di paesi stranieri, lo stand di Rockgarage era aperto e condiviso e attorno c’era sempre folla e casino. L’idea di fondo era sostenersi a vicenda, e questi intenti sono stati grossomodo mantenuti anche dopo la chiusura della fanzine. In questo caso specifico abbiamo provato a immaginare un progetto costruito attorno alla comune paura che si viveva dopo l’incidente di Chernobyl, paura che si veniva ad aggiungere all’inquinamento, all’AIDS, all’oppressione politica, agli euromissili. Ognuno ha contribuito come ha potuto e saputo fare. Abbiamo costituito un gruppo informale di individui e collettivi, fanzinari e musicisti, tutti pecore nere e tutti differenti come potevamo esserlo io e Giacomo Spazio, Franti e Detonazione, i Plasticost e la Trax. Al tempo era pratica diffusa raccogliere dei fondi tramite la musica, così abbiamo pensato di destinare il ricavato di “F/Ear this!” ad A/Rivista Anarchica perché da sempre in redazione avevano dimostrato nei nostri confronti – intendo noialtri fanzinari e varie bestie disperse – una certa simpatia ed apertura mentale senza trattarci come un fenomeno da baraccone.

D: Invece sono curioso di come siete riusciti a contattare tutti gli artisti, fra l’altro non solo italiani, visto che non c’era la posta elettronica o la rete Internet. Li conoscevi tutti?

R: Prima di internet c’era la posta tradizionale, c’erano il telefono e i fax, ci si incontrava di persona per strada, alle manifestazioni, ai raduni, ai concerti. Abbiamo fatto così – per passaparola. Non è stata affatto una cosa organizzata e pianificata, eppure direi che ha funzionato.

D: “F/Ear this!” non è solo una raccolta di canzoni e musiche ma vi sono opere grafiche e poesie, perché?

R: La musica dopo il Sessantotto è stata un collante sociale formidabile, noi siamo venuti dopo ma direi che è stato quello il nostro rumore di fondo – la controcultura hippy, il pacifismo, i poeti beat, le manifestazioni di protesta, Rock in Opposition, le canzoni di lotta. Nel mettere in piedi e soprattutto nel mantenere in piedi Rockgarage abbiamo avuto la fortuna di una mentalità aperta, nel senso che davvero non ce ne fregava assolutamente niente se uno suonava punk oppure dark oppure blues. A noi bastava suonare, bastava tirare fuori le parole e le canzoni da dentro senza doverci preoccupare della forma. Abbiamo organizzato dischi e concerti collettivi dove coesistevano sul vinile e sul palco generi espressivi distanti, Death in Venice e Funkwagen, Pitura Freska e Degada Saf per dire, e non è mai stato un problema per nessuno. Da ogni serata uscivamo tutti felici ed arricchiti, si montava il palco e si puliva la sala insieme, alla fine avanzava sempre abbastanza per una pizza e una birra insieme. Altrove non funzionava così, per dire al Virus di Milano suonavano solo gruppi punk perché in quell’aggregarsi milanese c’erano delle motivazioni differenti dalle nostre. Non avevamo un’identità da difendere, piuttosto ci si era accorti che dovevamo stare insieme per difenderci – in provincia la vita funzionava diversamente che nelle città grosse. Per tutto questo dentro a “F/Ear this!” c’è stato posto per chiunque avesse disegni da mostrare, parole da far leggere e canzoni o rumore da far ascoltare. Pensa che non abbiamo neanche scritto la lista dei partecipanti fuori in copertina.

F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear

D: Il gioco di parole contenuto nel titolo è tutt’ora d’impatto, come venne fuori?

R: Il titolo è frutto del genio di Vittore Baroni, che si è occupato anche della raccolta dei contributi grafici. Senti questo, e abbi paura di questo: facevamo sul serio senz’altro, ma ci piaceva divertirci.

D: Musicalmente vi sono gruppi di generi e stili differenti, eppure ascoltando “F/Ear this!” ho avuto l’impressione che tutto sia collegato.

R: C’è un sottofondo, sì. Non un filo rosso fisico e distinguibile, piuttosto un qualche cosa di rarefatto, come un’affinità di percezione che serpeggia fra le tracce. E’ stata la mia esperienza di fanzinaro, e ancora sono dell’idea che le varie etichette appiccicate sopra ai generi espressivi musicali siano un espediente per creare divisioni insormontabili fra ragazzi che invece naturalmente tenderebbero a cooperare.

D: Quale fu la tiratura dell’opera?

R: Abbiamo stampato 1200 copie su vinile e 500 cassette. Ad ogni doppio album era allegato un libretto, per le cassette ci si è arrangiati con fotocopie fatte di sfroso al lavoro perché non c’erano abbastanza soldi per pagare altri libretti alla tipografia.

D: Posso dire che la “paura” sembra non passare mai di moda…

R: Ogni tanto rifletto e mi viene da dire che abbiamo ristampato “F/Ear this!” nel momento più sbagliato. Però poi mi passa, e penso che sembra l’abbiamo fatto apposta.

D: Oggi, nel 2020 decidi di ristampare in un nuovo formato “F/Ear this!”. Noto che in questa edizione ci sono delle canzoni che non c’erano nel 1987.

R: Come dicevo prima allora si è lavorato di passaparola e i contatti con i partecipanti sono stati creati e mantenuti via posta tradizionale, adottando cioè una velocità di comunicazione che adesso viene considerata come inadeguata. Non ci si aspettava certo una risposta così voluminosa e complessa: all’inizio ci eravamo orientati su un album singolo, ma arrivavano sempre più contributi e si è arrivati ad un album doppio. Il problema è stato che a un certo punto avevamo quasi messo insieme le quattro facciate ma continuava ad arrivare roba. Parecchi nastri sono arrivati quando “F/Ear this!” era già stato pubblicato.

D: I dischi ora non sono facili da trovare, fra l’altro nei mercatini e in rete non costano poco.

R: A me sinceramente queste speculazioni non piacciono, così come non riesco proprio a comprendere come si possano spendere cifre assurde per un disco quando c’è tanta gente che fa fatica ad arrivare a fine mese. Sono un appassionato di musica, ogni tanto mi piace gironzolare per i negozi di vinile usato ma non arrivo a capire come si possa essere disposti a pagare che so quaranta-cinquanta euro per un vecchio disco… O cifre addirittura maggiori. Possedere, possedere, possedere: penso che si metta in moto dentro in testa un qualche meccanismo perverso, più che collezionisti mi sembrano degli accumulatori seriali, gente per cui la passione per la musica a un certo punto è diventata una nevrosi. Sono dell’idea che la musica vada distribuita e condivisa, non congelata in uno scaffale.

D: Oggi come avete pensato alla distribuzione? Anche nei canali della “musica liquida“?

R: Come ho già avuto modo di dire, stella*nera non è un’etichetta discografica. Le cose che facciamo non sono poste in vendita, quindi non avendo niente da vendere non abbiamo bisogno di affidarci ad un distributore commerciale. Inoltre, le nostre cose le offriamo in cambio di un’offerta libera e responsabile e ogni volta puntualizzo che offerta-libera-e-responsabile è diverso da un’elemosina. Anche grazie a spazi come questo riceviamo regolarmente parecchie richieste per lettera, e-mail, telefono e mandiamo pacchetti. Ogni tanto partecipiamo a qualche bookfair anarchico, oppure ci invitano a presentare i nostri lavori così la gente ha la possibilità di incontrarci. Delle copie delle cose che facciamo girano comunque anche in alcuni negozi di dischi e librerie, sono posti gestiti da persone amiche che nel tempo ci hanno sostenuto.

Copertina 2020 F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear

D: Mi piacerebbe conoscere qualche aneddoto sul materiale o sui contatti.

R: Grande parte del lavoro di digitalizzazione delle registrazioni è stata fatta da Marco Giaccaria, che ha uno studio casalingo ben attrezzato. Ero con lui quando abbiamo letto e registrato il master analogico originale, ad un primo esame le bobine si erano conservate abbastanza bene nonostante gli anni passati in cantina ed i ripetuti traslochi. Altre però erano purtroppo deteriorate e inutilizzabili, anzi alcune delle registrazioni che siamo riusciti a salvare sono la documentazione in tempo reale dell’ultimo scorrere del nastro sulla testina prima di sbriciolarsi. Le difficoltà di lettura hanno caratterizzato parecchio il contributo senza nome di Massimo Giacon e Mimì Colucci, e secondo me hanno aggiunto una certa drammaticità al pezzo dei 2+2=5, che non abbiamo poi tentato di ricostruire da vinile e abbiamo lasciato così. Purtroppo un bel po’ di roba, a volte neanche identificabile perché mancavano le indicazioni sulle scatole, è andata irrimediabilmente persa. L’idea di ristampare “F/Ear this!” è partita dal ritrovamento fortuito in garage di una cartellina finita dietro a uno scaffale, dentro c’erano le tavole originali di Vittore Baroni e il progetto di Franco Raffin di Rockgarage per la copertina – allora era stata scartata perché la vedevamo “un po’ troppo Joy Division”, si può essere più stupidi di così.

Collage di Annie Anxiety Crass F/ear this!

D: Per quanto riguarda la parte grafica mi piacciono molto i collage della poetessa Annie Anxiety del collettivo anarcopunk inglese dei Crass.

R: Avevo conosciuto Annie assolutamente per caso, pensa che neanche sapevo fosse lei. Ero stato con Gino Collelli degli Wops a Dial House per mostrare ai Crass le cose che facevamo e soprattutto per discutere del libro di traduzioni dei loro testi che poi ho pubblicato. Dopo una giornata passata a parlare principalmente con Phil, Penny e Gee, Gino ed io stavamo ritornando a piedi alla fermata della metropolitana quando a un certo punto accosta una macchina che ci offre un passaggio. Ho riconosciuto lei e il suo compagno (che era Pete Wright, bassista dei Crass) l’anno successivo durante un concerto a Nottingham. Ad Annie sarebbe piaciuto partecipare al convegno anarchico di Venezia, così ho organizzato una serie di date in giro per l’Italia press’a poco nello stesso periodo del convegno. In quei giorni abbiamo approfondito la nostra amicizia, così prima di ritornare a casa Annie mi ha regalato parecchi disegni suoi, collage, acquerelli, poesie scritte a mano e altre a macchina – al tempo avevo tradotto e raccolto un po’ di cose sue in un libretto che ho allegato ad una cassetta. Vittore ne ha utilizzato una parte per illustrare “F/Ear this!”.

D: La nuova edizione 2020 è sempre il frutto di un lavoro collettivo, vero?

Da qualche tempo stella*nera non è più un fatto personale, mi danno una mano alcuni compagni, gente che mi è sempre stata vicina in questi anni. Tra questi Dethector, Marco il pirata genovese, Miguel il montanaro, Franz nella zona rossa bergamasca. Abbiamo età e storie diverse, per questa ragione le nostre discussioni attorno ai progetti tendono ad incendiarsi. E’ bellissimo. Mi piace lavorare da solo, e l’ho fatto per tanto tempo, ma così in compagnia c’è senz’altro più gusto. Di recente abbiamo collaborato con Stefano Gentile di Silentes: questo per me è stato un avvicinarsi fortunato e felice, ci conosciamo dai tempi di Rockgarage – lui e suo fratello erano degli Hyxteria, uno dei primissimi gruppi punk veneti, e mandavano avanti la fanzine Nashville Skyline.

Per ricevere “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear” potete rivolgervi a:

stella*nera oppure a Dethector oppure a Silentes

2+2=5 – Guang Zhou
Two Tone – Sometimes Timid / My Womb
Jane Dolman e Pete Wright – Fishes In Water
Giorgio Cantoni – Un anno nelle favelas

Per ricevere “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear” potete rivolgervi a:

Tutto andrà bene 13

La malattia Covid-19 è arrivata in maniera silenziosa e strisciante qui da noi. All’inizio sembrava lontana, là in Cina ed invece eccola fra di noi.
Ci fa provare insicurezza e paura: credo che sia innegabile. Fatalità due giorni fa una gradita sorpresa: il postino (grazie per il suo lavoro) mi ha consegnato un pacchetto, con il doppio album di “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear“. Si tratta della nuova edizione in CD del progetto grafico – sonoro curato da Marco Pandin nel 1987, oramai esaurito e quasi introvabile, se non a delle cifre esagerate. Si tratta di una raccolta di brani musicali, disegni e poesie espressamente scritti e registrati per “F/ear this!“.
Ho pensato che fosse interessante scriverne, perché questo doppio CD tratta del sentimento della paura e dell’insicurezza che poteva suscitare alle persone il pericolo nucleare negli anni’80: positivo il modo in cui gli artisti che parteciparono “F/ear this!” reinterpretarono la paura, magari proprio per esorcizzarla ed allontanarla da sé. Anche ora in questi giorni questo progetto artistico musicale mi sembra attuale.

Oltre ai due album vi è allegato un libro con opera grafiche, collage e poesie, seguito dal mailartist Vittore Baroni di TRAX. Gli stili musicali sono molteplici: il jazz più estremo, la new wave anni ’80, il punk, la musica elettronica e fino ad arrivare alle sperimentazioni ambient o altre contaminazioni sonore, melodiche e bizzarre. La raccolta, già dal titolo, ha come tema “la paura“: gli artisti hanno cercato di parlarne, di raccontarla musicalmente o graficamente, come se fosse un veicolo per allontanarla da sé e tenere a freno le proprie ansie. “F/ear this!” è nata nel 1986 ed è stata pubblicata all’inizio del 1987. Se ricordate fu un periodo in cui vi era lo schieramento frontale fra gli U.S.A. e l’U.R.S.S. ed era diffusa la paura (appunto) per la catastrofe atomica. Nello stesso anno era appena successo l’incidente nucleare di Chernobyl. Marco Pandin ricorda: “un guasto terribile … che distava da noi neanche un paio di giorni di viaggio: sembrava che i nostri incubi prendessero una qualche forma fisica, si riusciva a vederne chiaramente i contorni, a toccarli, ad inghiottirli, a respirarli“. Il pregio di “F/ear this!“, ora ci torna fra le mani, non sembra per nulla invecchiata, anzi resta così attuale e ricca di significati. La particolarità è l’assieme di stili musicali molto differenti fra loro, ma proprio queste differenze fanno di “F/ear this!” il suo valore più importante.

Per ricevere “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear” potete rivolgervi a:

Per ricevere “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear” potete rivolgervi a:

Ho appena ricevuto un link con una bella e completa intervista a Marco Pandin, la trovate qui: Tregua Mai – Marco Pandin e il progetto F/Ear this!

Fanzine Zero Zero con tape allegato

Fanzine Zero Zero copertinaSpulciando nei meandri della scena underground italiana degli anni’80, abbiamo trovato la fanzine Zero Zero nr. 1. Allegata alla rivista c’è una cassetta audio (tape) con svariati gruppi new wave post punk psyco rock… La fanzine è stata pubblicata a Milano nel novembre del 1985, con notevole impegno e sforzo economico, visto è stampata a colori.
Di seguito alcune impressioni d’ascolto di Marco Tira..

Ad ogni modo posso dire che la registrazione della cassetta mi ha davvero sorpreso, sembra essere stata prodotta in maniera professionale! Forse anche per questo motivo il suo ascolto è stato praticamente perfetto, senza quelle “tipiche” distorsioni dovute al deterioramento del nastro (più di 30 anni cavolo!).
La copertina invece è molto spartana e semplice, un semplice foglio leggermente ruvido e in bianco e nero, ma a quanto pare esistono anche con copertina rosata. La cassetta vera e propria invece ha due etichette bianche generiche e sui due lati a matita c’è scritto il numero “1” e sull’altro il numero “2”.

La fanzine allegata è carina, ha le pagine di diversi colori e sono presenti i testi di quasi tutte le canzoni. Ogni pagina ha un colore diverso dall’altro. La copertina ha chiari riferimenti sessuali… infatti su uno sfondo che rappresenta l’universo/spazio (che sia un richiamo al cognome di Giacomo?), è presente una donna e in basso un’astronave di forma fallica che vola verso l’alto…

In prima pagina ci sono le informazioni relative alla produzione/distribuzione della fanzine + cassetta. In seconda pagina un messaggio ironico ed inventato “CHE Ernesto Che Guevara” vuole inviare ai lettori:  il senso di tutto è che la musica è cultura e veicolo di conoscenza.
Le altre pagine riportano i testi delle canzoni in ordine di “comparizione” sulla cassetta e le informazioni sul gruppo (solo i nomi dei membri in realtà). Dimensioni della fanzine 15x21cm circa.

L’ascolto è stato davvero piacevole e coinvolgente… di seguito alcune considerazioni:

1) Inside Out:  a primo impatto mi hanno ricordato i Joy Division e forse anche qualcosa dei Bauhaus.
La traccia “In the name of love” scorre molto bene e il giro di basso tipico della new wave è incalzante.

2) Kubrix: piacevole scoperta… Once Again è una traccia davvero coinvolgente, più vicina al punk che alla new wave… La voce di Clara Moroni è decisamente interessante nonostante la giovane età (se non sbaglio era appena ventenne) e proprio questo la porterà ad essere un punto di riferimento nella cosiddetta “Italo Disco” e ad essere l’attuale corista di Vasco Rossi.
Link traccia d’ascolto

3) Nadja: Toni decisamente più cupi per questo gruppo ligure… canzone cantata in un inglese un pochino grossolano, decisamente da migliorare.
Traccia troppo monotona, a tratti angosciante e “lagnosa”.. il tocco del “tamburello” alleggerisce il tutto ma non fa miracoli!

4) 2+2=5: Gruppo che non ha bisogno di presentazioni… ascoltarli dopo i Nadja porta una ventata di freschezza e armonia! Il sound è particolare e per essere compreso appieno ha bisogno di essere ascoltato diverse volte… un po’ come tutte le loro produzioni a mio avviso. Qui invece si canta in italiano e per un momento ci si allontana “dall’usanza” di cantare in inglese.  Il cantante in questa canzone è Joe (potrebbe essere Mauro Ermanno Giovanardi dei futuri La Crus).
Link traccia d’ascolto

5) Colour Moves:  Apparentemente non c’entrano nulla con gli altri artisti.. ma forse è proprio questo il bello della Zero Zero… Questo pezzo non sembra neanche appartenere al genere New Wave, sembra quasi Pop!
Davvero molto piacevole all’ascolto, mi ha fatto venire voglia di approfondire questo gruppo.
Link traccia d’ascolto

6) Braque: Senza infamia e senza lode… l’ascolto è piacevole ma questa traccia non riesce a trasmettermi nulla… non riesco a comprendere bene le parole del cantante ad essere sincero. Colpa della registrazione?

7) Tribal Bops:  appena iniziata mi sembrava una canzone rock anni ’50… ritmo estremamente coinvolgente e viene voglia di riascoltarla! Buono l’inglese del cantante in pieno stile rockabilly. Strano che non abbiano pubblicato un album vero e proprio.

8) Pression X: Canzone caratterizzata da un singolo motivetto e stile Garage con rimandi alle sonorità country (carino il pezzo con l’armonica e le urla tipo “Hiii Aaaahh”). Li approfondirò e magari comprerò anche l’EP.

9) Peter Sellers And The Hollywood Party: Per certi aspetti mi ricorda la traccia dei Pression X, con un’armonica che la fa da padrona assieme all’onnipresente basso. Traccia molto “veloce” e coinvolgente.. Da quanto ho letto su internet, nel 2013 sono tornati insieme e stanno producendo cose interessanti.. gli amanti del genere ne saranno felici, secondo me meritano parecchio.
Link traccia d’ascolto

10) Maldoror:  Cataldo Dino Meo è un vero pazzo… o un genio? Non riesco a trovare le parole adatte per descrivere testo e musica.. consiglio a tutti di ascoltare questo pezzo…
Link traccia d’ascolto

11) Oh Oh Art:  Altro Gruppo da approfondire… una sorta di mix tra new wave e musica elettronica che ha dato vita ad una bella traccia.
Link traccia d’ascolto

 

Riferimenti

5 Perché dovevi registrare un vinile negli anni ’80?

Giacomo Spazio è un artista underground a tutto tondo: musicista, grafico e pittore, nonché fondatore della fanzine Vinile e fondatore dell’etichetta discografica Vox Pop.
Le sue attività iniziarono negli anni’80 a Milano, è stato anche membro fondatore della band new wave 2+2=5.
Sentiamo da Giacomo perché si doveva registrare un vinile negli ann’80.

2+2=5 Giacomo Spazio Trevor Finn Rieko

Giacomo Spazio, inseguitore di sogni

Non ho mai pensato che fare un disco in vinile fosse importante.
Quando ho iniziato ad occuparmi seriamente di musica, producevo K7 (tape). Belle, bellissime. Facili da comperare e ancora più semplici da registrare, in casa con la doppia piastra. Vero DIY.
Regitrare un disco in vinile, arrivò, anni dopo. Quando Nino si convinse che potevamo insieme produrre qualcosa di interessante. Solo allora, finite le registrazioni di “…Into The Future…” con Rieko che ci diede man forte suonando le tastiere, pensammo che era il momento di stampare un vero e proprio LP. Ci aiutò in questo la Ma.So. e finalmente la nostra band, che in culo alle regole, avevamo battezzato con un operazione matematica (2+2=5), diventò reale. Tutti, al dire il vero non proprio tutti poiché stampammo 500 copie, si accorsero che esistevamo.
Persino la rivista inglese NME, parlò del nostro disco. Ma concerti praticamente nulla. Quelli arrivarono dopo, quando le strade artistiche di ognuno iniziarono a prendere direzioni differenti. Ma sono davvero felice di avere pubblicato dei dischi in gioventù, sia per l’amicizia che mi lega ancora ai miei compagni di avventura, sia perché (come tutti quelli che allora hanno lasciato un segno tangibile) abbiamo inciso in maniera indelebile la STORIA di questa nazione!

Vinile la fanzine rivista – musicale intervista a Giacomo Spazio

Fanzine Vinile 2 retro copertinaLa fanzine Vinile fu fondata a Milano negli anni ’80 e si tratta di una delle pubblicazioni underground più note. Gli artefici furono Carlo Charlie Albertoli, Gigi Marinoni e Giacomo Spazio.

Giacomo si occupava della parte grafica. Vinile era fra le pubblicazioni di Stampa Alternativa e l’intento di Charlie, Gigi e Giacomo era di creare una rivista nettamente diversa dalle altre riviste musicali italiane. Tenevi in mano Vinile come se fosse la copertina di un 45 giri, infatti queste erano le dimensioni di Vinile, il tutto interamente stampato su carta riciclata. La grafica interna molto underground, con immagini e disegni a fotocopia sporca ingrandita, mentre i caratteri per i testi sembravano quelli di una vecchia macchina da scrivere, ciò nonostante la sfogliavi e la leggevi benissimo.

Prima Carlo “Charlie” Albertoli poi il direttore pre – punk Gigi Marinoni ed ecco Giacomo Spazio, agitatore culturale, musicista con la band new wave 2 + 2 = 5, fondatore dell’etichetta musicale Vox Pop nonché artista.

→ Prosegui la lettura di Vinile la fanzine rivista – musicale intervista a Giacomo Spazio

Vinile la fanzine rivista – musicale intervista a Gigi Marinoni

Vinile le copertine dei cinque numeriLa ricerca, che da tempo faccio qui nel blog, sulla scena musicale indipendente italiana, non poteva non imbattersi nella fanzine milanese Vinile.
La fanzine era curata Carlo Albertoli, Gigi Marinoni e Giacomo Spazio, tutto questo accadeva alla fine degli anni ’80 a Milano.

La rivista era pubblicata da Stampa Alternativa ed possedeva un aspetto grafico e di contenuti molto diverso dalla stampa musicale ufficiale. L’impianto grafico aveva le dimensioni di un 45 giri, copertina e pagine interamente stampate su carta riciclata. La grafica interna molto underground, con immagini e disegni a fotocopia sporca ingrandita, mentre i caratteri per i testi sembravano quelli di una vecchia macchina da scrivere, ciò nonostante la sfogliavi e la leggevi benissimo.

Ad ogni numero vi era un dischetto e una volta furono anche due. I brani erano tutti inediti di band italiane indipendenti e straniere. Le pagine erano fitte di recensioni musicali brevi e immediatamente comprendevi se spenderci delle lire. All’interno di Vinile vi erano articoli, interviste, discografie e concerti, insomma una fanzine o forse proprio una vera rivista musicale.
Dopo aver intervistato Carlo “Charlie” Albertoli mi sono chiesto perché non sentire anche il direttore pre – punk Gigi Marinoni sull’esperienza di Vinile? Ecco le stesse domande fatte a Carlo Albertoli rivolte a Gigi Marinoni.

→ Prosegui la lettura di Vinile la fanzine rivista – musicale intervista a Gigi Marinoni

La collana Sconcerto di Stampa Alternativa

Molti anni fa la casa editrice Stampa Alternativa inaugurò la collana Sconcerto, dedicata ad artisti della musica Rock, privilegiando gruppi poco conosciuti o di culto come i Doors, i Grateful Dead o i Velvet Underground di Lou Reed e John Cale.

Le copertine e i vinili allegati alla Collana Sconcerto di Stampa Alternativa

Le copertine e i vinili allegati alla Collana Sconcerto

L’idea di fondo della collana era giusta per il tempo, perché negli anni ’80 non era facile avere informazioni complete su un gruppo o trovare i testi e le traduzioni. Infatti capitava spesso che le lyrics non erano incluse nell’album.
Assieme alle traduzioni vi erano le schede discografiche, la biografia della band o brani d’ interviste tradotti da magazine stranieri. Mi vengono in mente, ad esempio, le dichiarazioni ad effetto di Morrissey degli Smiths sulla società, il sesso o il cibo vegetariano.
Insomma era davvero un bel compendio per approfondire il proprio artista preferito. I libri erano bilingue, perché oltre ai testi tradotti tutto il contenuto era sia in italiano che in inglese. La caratteristica quindi era l’agilità della lettura di una vera e propria monografia.

Incluso al libretto era allegato un supporto sonoro in vinile con brani rari o cover di gruppi italiani dedicati alla band. Successivamente, nelle seconde edizioni e nei nuovi titoli della collana, il vinile 7″ venne sostituito dai CD in formato 3″.
Caso unico nella collana Sconcerto, i libretti sugli Smiths contenevano delle cartoline con le copertine dei dischi del gruppo.

→ Prosegui la lettura di La collana Sconcerto di Stampa Alternativa

Eighty Blues 1 ovvero non si esce vivi dagli anni’ 80

Non si esce vivi dagli anni' 80 Eighty BluesGli anni ’80 erano gli anni della mia adolescenza, quelli che mi hanno portato alla maggiore età. I primi amori, le corse in bicicletta perché mio padre: “… no, il motorino no!” e dunque “via!” verso una certa autonomia di vita. C’erano i racconti di mio nonno Primo sui partigiani, sulla guerra e sui fascisti. C’erano due sistemi politici uno contro l’altro, fino alla caduta del muro di Berlino. E poi la corsa agli armamenti nucleari.
Negli anni ’80 tutto cambiava attorno a me.
Nuove passioni nascevano o si sviluppavano: il cinema, i fumetti di Hugo Pratt, di Enki Bilal e di Andrea Pazienza e poi la musica. Si, tanta musica.
Mettere da parte le “mancette” o lavorare in estate per poi andare in treno a Padova nei negozi di dischi, come la Crash Records e poi scambiarsi i vinili con qualche amico per farsi i “nastrini”. Il primo viaggio a Londra con mio fratello.
No, niente nostalgia perché un po’ si cambia ma sono sicuro dagli anni ’80 ho imparato a crescere e in un certo andare modo avanti.

E per Voi, amici musicisti, fanzinari e/o blogger?

 

→ Prosegui la lettura di Eighty Blues 1 ovvero non si esce vivi dagli anni’ 80

Vinile la fanzine rivista – musicale intervista a Carlo Charlie Albertoli

Credevo che la fanzine milanese Vinile nascesse da un paio di appassionati musicali, Carlo Albertoli e Giacomo Spazio, durante la fine degli anni ’80 a Milano. E invece …
Vinile fu una conseguenza delle marchette in forma di libro che Giacomo e io ai tempi facevamo per Stampa Alternativa …“.

Vinile era gestita in modo autonomo e indipendente, non si accettavano compromessi, vi si scriveva non seguendo alcuna moda o tendenza, in pieno spirito DIY (do it yourself). “Sbagliato… In cambio del finanziamento Stampa Alternativa impose un diretur [n.d.i. Gigi Marinoni] decisamente pre punk che inseri’ contenuti di cui a noi due nun-ce-ne-poteva-frega’-de-meno… “.

Vinile aveva delle caratteristiche proprie per questo mi piaceva molto, soprattutto rispetto alla stampa musicale ufficiale. Il formato grafico consisteva in un libretto delle dimensioni di un 45 giri, copertina e pagine interamente stampate su carta riciclata. La grafica interna molto underground, con immagini e disegni a fotocopia sporca ingrandita, mentre i caratteri per i testi sembravano quelli di una vecchia macchina da scrivere, ciò nonostante la sfogliavi e la leggevi benissimo.
“I caratteri ERANO quelli della vecchia macchina da scrivere presa in prestito…”.
Gli allegati sonori erano in ogni numero, addirittura in un numero ve ne erano due. Le canzoni inedite di gruppi italiani indipendenti e stranieri in 45 giri EP.
I contenuti erano decine, decine e decine di recensioni discografiche brevi, taglienti e senza sconti ma soprattutto centrate, ovvero capivi al volo se valeva le pena di spenderci dei soldi. E poi articoli, interviste, discografie e concerti, tutto bello e divertente da leggere ma anche accurato, insomma cosa si poteva chiedere di meglio a una fanzine evoluta? E le risposte sono arrivate senza tanti giri di parole da Charlie, il Signor Albertoli ovvero Carlo Albertoli.

→ Prosegui la lettura di Vinile la fanzine rivista – musicale intervista a Carlo Charlie Albertoli

Vinile (la fanzine o rivista, non il supporto fonografico …)

Milano, tra il 1987 ed il 1989 escono 5 numeri di quella che è una fanzine evoluta o forse una quasi-rivista: Vinile.
Il formato riprende quello dei 45 giri [1] – per chi se li ricorda – proprio perchè ad ogni numero sono allegati uno o due ep 7″ con brani di gruppi italiani o stranieri. [2]

La storia di Vinile si intreccia con quella della nascente Vox Pop, che prenderà il posto delle precedenti esperienze [3] come etichetta discografica di riferimento per la scena milanese.

Lasciamo la parola a Charlie [4]:“Anche se i primi dischi con il marchio Vox Pop sono dell’ 88, la casetta discografica Vox Pop nasce ufficialmente nel novembre 89 come diretta conseguenza dell’avventura di Vinile, come gioco irresponsabile, come esigenza che prende corpo grazie a un’ idea di Giacomo Spazio e alla voglia di cinque persone (presto ridotte a tre) di cui una in grado di investire sei milioni sei di vecchie lire. Istigata da Giacomo Spazio, organizzata dal signor albertoli (ciarli per tutti), finanziata da Manuel Agnelli, appoggiata da Mauro Ermanno Giovanardi (ma allora NESSUNO lo chiamava cosi’) e Paolo Mauri, nasce ufficialmente Vox Pop Records. La sede e’ un negozio -gia’ ex magazzino di Supporti Fonografici- in via Bergognone 40: scatoloni di dischi freschi di stampa che si spera di vendere, due pseudoscrivanie su cavalletti, casino inenarrabile che mi accompagna da sempre, demotapes che gia’ cominciano ad accumularsi e un PC con 640kb di RAM. Spiegare ai passanti quello che facciamo porta via mezze giornate.”

→ Prosegui la lettura di Vinile (la fanzine o rivista, non il supporto fonografico …)