La mia non classifica musicale del 2020

La mia non classifica musicale 2020

Il 2020 è giunto al termine ed è stato segnato dall’orribile presenza del virus Covid-19.
Non ho seguito le molteplici uscite discografiche di quest’anno, perché mi è piaciuto di più scavare nei sotterranei musicali del passato, scoprendo o riascoltando musicisti degli anni passati.
Le uscite musicali del 2020 hanno uno stacco fra i suoni di molti questi nuovi gruppi, che faccio fatica a fare mio. In alcuni casi, ad esempio, mi sembrano palesemente del passato, oppure sono io che ho una scarsa attenzione a certe novità. Il dubbio mi rimane, ma mi consolo con i dischi che ho scelto, perché ho trovato emozioni, curiosità, energia ed idee. Durante il 2020 ho visto solo due concerti, mentre altri tre, di cui avevo preso il biglietto, sono stati rimandati al prossimo anno, speriamo bene, in tutti i sensi.
I miei figli fruiscono la musica tramite le piattaforme digitali e quindi hanno perennemente le cuffie addosso, ma continuano anche ad ascoltare il supporto fisico: CD o vinile, vanno bene entrambi.
Quest’anno ho apprezzato le sfumature e le moltitudini di significati di Bob Dylan, nel suo ultimo album. Verso la fine dell’anno, ho scoperto due opere musicali di modern classical, ispirate dal periodo, in cui tutti noi, abbiamo vissuto col Covid-19. Entrambe sono ricche di emozioni a tutto campo, ma con un sentimento di speranza per tirar dritto. Ecco la lista e buon ascolto.

Matt Berninger – Serpentine Prison

Il cantante dei The National è uscito con un suo album solista bello e dal suono caldo, del resto con una voce baritonale come la sua è facile attirare l’attenzione. La musica è semi acustica ed intima.
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Campos – Latlong

I pisani Campos producono un album italiano personale, in cui ho trovato suoni acustici ed elettronici, una specie di folk alternativo. Particolari i testi, seguendo una scrittura di tipo cantautoriale.
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Nick Cave – Idiot prayer – Alone at Alexandra Palace

Avere le canzoni di una carriera ultra decennale e presentarle in una forma embrionale e senza il gruppo dei Bad Seeds. Un piccolo regalo (ben pagato fra l’altro) che il cantautore rock ha dato al pubblico. Questo concerto solista (voce e pianoforte) è stato registrato in piena solitudine, senza pubblico. Grande esecuzione, magari qualche brano è meglio nella sua versione con la band, ma resta davvero una grande interpretazione. Idiot Prayer è nato durante il lock down in Inghilterra.
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Nick Cave, Nicholas Lens – L.I.T.A.N.I.E.S.

Lens, compositore di classica moderna, ha chiesto, durante il lock down, a Cave di scrivere dei testi per delle litanie di lodi e di richieste verso un essere divino (?!?). Lens ha poi musicato le litanie in dodici composizioni di circa cinque minuti ciascuna. I brani vanno ascoltati tutti insieme, per non interrompere il flusso poetico e magico dell’opera. Straordinarie ed emozionanti le voci dei cantanti.
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Bob Dylan – Rough and rowdy ways

Dylan durante questo periodo è uscito con disco nuovo: folk rock blues. Musicalmente bello da ascoltare e suonato splendidamente. La sua voce è magnetica in molti brani, non puoi restare impassibile. I testi? Beh, sono la parte importante di questo album, perché l’immaginazione poetica di Dylan non ha confini per i temi: la storia, la letteratura, la musica, l’amore e il destino riguardante l’autore o l’uomo? Bella domanda, eh? Diciamo che c’è chi l’ha spiegato meglio di me, oltre che con le parole, ha fatto una bella ricerca iconografica, il suo bel articolo lo trovate nel blog: Intonazioni conseguenti. Se proprio non vi bastasse, come del resto ho fatto pure io, c’è un sito italiano vecchio stile, dedicato completamente a Bob Dylan, dove hanno tradotto i testi di Rough and rowdy ways.
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Einstürzende Neubauten – Alles im Allem

Il gruppo berlinese era da molti anni che non registrava un album. Alles im Allem è stato ideato nel loro solito modus operandi: tutto da soli, nel proprio studio, con il supporto dei fan, così facendo hanno il pieno controllo della propria opera musicale. Il centro nevralgico di tutta la loro quarantennale carriera è Berlino, a cui il disco è dedicato. Un disco che cresce, ascolto dopo ascolto, mostrando luci ed ombre della storia, delle situazioni del passato e del presente della metropoli tedesca. L’album, musicalmente e liricamente, è molto raffinato e carico di un espressionismo sonoro indimenticabile.
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Max Richter – Voices

Il compositore Max Richter si è ispirato alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, per scrivere l’album Voices. Ho recuperato queste parole del compositore: “In questi momenti è facile sentirsi senza speranza ma, proprio come i problemi del nostro mondo sono di nostra creazione, così lo possono essere le soluzioni. Mentre il passato è immutabile, il futuro è ancora da scrivere e la dichiarazione delinea una visione di un mondo migliore e più giusto che è alla nostra portata se lo scegliamo. ‘Voices’ è uno spazio musicale per riconnettersi con questi principi ispiratori“. L’album è composto di due dischi, nel primo ascoltiamo, assieme alla musica, una moltitudine di voci e di lingue, che leggono le frasi iniziali della Dichiarazione dei diritti, nel secondo disco solo le musiche senza le voci. Entrambi i dischi sono molto suggestivi ed emozionanti.
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The Last five minutes – The Last five minutes

Suoni e ripetizioni che prendono forme musicali per esplorare gli ambienti. Questo progetto musicale nasce da un’idea di Marco Pandin suggerita ad Alberto Carozzi e Matteo Uggeri degli Sparkle in Grey. Se volete approfondire trovate qui un’intervista ai due autori.
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La mia non classifica musicale annuale degli anni scorsi è qui.

The Last Five Minutes: intervista ai musicisti

The Last Five Minutes CD Alberto Carozzi Matteo Uggeri Sparkle in Grey

L’album “The Last Five Minutes” è un piccolo capolavoro di musica sperimentale, in cui ci si addentra in sonorità che creano un ambiente sonoro interessante da esplorare. Arricchito da suoni tribali, provenienti da lontano… ma chi sono gli autori? Alberto Carozzi e Matteo Uggeri, entrambi membri del gruppo post-rock Sparkle in Grey. La curiosità di approfondire con i due musicisti era tanto e dettata dalla non possibilità di muovermi, durante il periodo del corona virus, il loro disco mi ha accompagnato musicalmente, in una sorta di percorso immaginario.

Domanda: innanzitutto come state?

Alberto: Ciao, di solito questa è La domanda di circostanza, ma i tempi cambiano. Sto bene, grazie, con dei vuoti improvvisi, quando senti mancare la terra sotto i piedi, o senti mancare delle persone, o non sei più sicuro di che giorno sia.
Matteo: sto bene pure io, molto meglio di quanto mi sarei aspettato dopo molte settimane chiuso in casa con mia moglie e le mie figlie. Tu come stai? Come mantieni alta la voglia di dedicarti alla musica?
Enri (chi fa le domande): Direi bene, non sono mai stato così tanto in casa e in telelavoro, tutto sommato non ho sofferto più di tanto, ho la mia compagna, i figli e un tetto sopra la testa. Per la musica? La curiosità di ascoltare molti dischi che da ragazzino non potevo comprare, poi siete arrivati voi con The Last Five Minutes e mi venuta voglia di conoscere meglio cosa ci sta dietro.

D: Siete entrambi membri del gruppo Sparkle in Grey, come è stata questa esperienza “fuori dal gruppo“?

Alberto: Ognuno di noi fa altre cose “fuori dal gruppo”. Ma in effetti forse è la prima volta che faccio una cosa fuori dal gruppo con uno del gruppo. Non abbiamo lavorato come facciamo di solito con gli Sparkle in Grey, cioè con prove insieme, abbiamo lavorato a distanza, con proposte e controproposte, e soluzioni. Alla fine però c’è sempre una cosa che ricorre, un’idea che mette in moto, crea sintonia, e prende forma, e magari anche senso.
Suonare con Matteo è bellissimo, mi illudo di conoscere un po’ la sua sensibilità, e poi quello che mi restituisce non ha niente a che vedere con quello che immaginavo, e subito (a volte non subito) penso, certo, è questo.
Matteo: Sì, è diciamo un primo progetto vero e proprio con solo due pezzi degli Sparkle in Grey, però io in una forma o in un’altra sfrutto le abilità strumentali e le risorse dei miei compari in molti dei dischi che faccio, a volte pure a loro insaputa! Però questo come dice Alberto è un caso del tutto speciale, anche perché è nato in toto più da lui che da me, io mi sono aggregato dopo…

D: Quindi, mi raccontate come è nato “The Last Five Minutes“?

Alberto: Ci sono stati diversi passaggi, a partire dall’incontro con Marco Pandin, che aveva prodotto un disco a cui avevo partecipato (Piccola Orchestra degli improvvisatori di Valdapozzo, curato da Nicola Guazzaloca e Luca Serrapiglio, a fare tutti ‘sti nomi mi si smuovono ricordi di una bellezza che non so descrivere), e che ho conosciuto in occasione della presentazione del disco, un evento musicale tutto dedito all’improvvisazione. Marco aveva apprezzato molto delle cose che avevo fatto alla fine di quella performance e mi ha chiesto di registrare qualcosa del genere, ma per tutt’altro scopo. Io qualche mese dopo ho fatto quelle registrazioni pensando al suo input, e poi (salto temporale) ho coinvolto Matteo, e così (altro salto temporale) è nato il disco.

D: Ho immaginato che l’album fosse una sorta di sentiero da percorrere di notte.

Alberto: Bello. Dai dimmi qualcosa di questo sentiero. Hai fatto incontri interessanti?
Enri: Sentiero notturno al chiaro delle stelle, lucciole, mica facile vederle oggi. Cerco di stare attento, perché ogni tanto inciampo. 🙂
Matteo: Curioso! In effetti cogli un punto interessante, ossia che è in pratica un unico brano/percorso di una quarantina di minuti… dove porti non sappiamo, diccelo tu!
Enri: Geograficamente un luogo fra collina e verso il mare, che però non si sente, ci si arriva, quasi.

D: Quali sono stati gli strumenti musicali che avete suonato?

Alberto: io ho usato esclusivamente la chitarra, ma con l’autoimposizione di suonarla il meno possibile, il suono già di suo vibrazione, creava altra vibrazione ed altro suono, che assecondavo e guidavo agendo su frequenze, intensità, timbro, cioè i parametri base. Nessun effetto speciale. Nemmeno in postproduzione.
Matteo: io di mio ho usato solo il mio solito computer, con il software Ableton Live, cacciando dei sample di ritmi africani presi da diversi CD che ho a casa, lavorando un pochino anche sui suoni della chitarra di Alberto, senza davvero modificarli ma smontando qui e là e generando suoni di altra natura dai suoi. Nulla di particolarmente originale, lo ammetto, ma anche io volevo tenermi basso e minimale.

D: Marghian, uno dei blogger che conosco, si chiedeva se vi fossero strumenti musicali orientali. Lui mi ha scritto nei commenti che il vostro album : “… Produce nell’ascoltatore un certo senso di ‘vibrazione viscerale‘ “.

Alberto: sulla strumentazione orientale lascio rispondere Matteo, mentre vorrei sapere qualcosa di più di questa vibrazione viscerale.
Matteo: Sì, è vero, oltre a quanto descritto sopra, un certo giorno, dopo un ascolto di una versione intermedia del lavoro, ho pensato che delle frequenze alti, dei suoni più casuali, imprevedibili, sarebbero stati molto utili ad arricchirlo, così tornato dall’ufficio ho tirato fuori campane tibetane, ovetti, sonagli e una cavigliera indiana “ghungroo” regalatami da Al anni fa, e li ho messi in mano alle mie figlie di (allora) 2 e 5 anni. E ho registrato il tutto, per poi mixarlo sul resto.

D: Pensate di poterlo presentare in concerto? Ops… sicuramente non nel breve periodo, vero?

Alberto: Ci stavo lavorando, non per rifare il disco che non ha senso, ma per riproporre quell’idea. Nelle prove che ho fatto mi son trovato a volte in una massa di rumore, altre volte nel silenzio. Spesso non riesco a controllare più nulla, e per come sono fatto io è un bel mettersi alla prova.
Avevo già fissato anche qualche appuntamento, e ho una gran voglia di portarlo in giro.
Matteo: in realtà lo stiamo per fare, con il ripiego virtuale che ‘va di moda ora’, poiché ci è stato chiesto di fare un live registrato a distanza per il festival Ferrara Sotto le Stelle. Siamo a buon punto, ne è uscita una cosa diversa dall’album e ovviamente complicatissima da realizzare, ma se va in porto ne vedrete delle belle (online).

D: Mi dite qualcosa della copertina? La trovo enigmatica.

Alberto: E’ una struttura per cartelli pubblicitari, senza i cartelli pubblicitari. La prima volta che l’ho vista mi ha colpito, ho pensato: “Copertina del disco!“, senza che esistesse alcun disco. Poi l’ho rivista un sacco di altre volte, ma quando poi il disco c’era, mi piaceva mantenere la parola. E a pensarci, l’assenza è un ingrediente dell’album…
Matteo: Sì, mentre il retro è una foto che ho fatto io in un viaggio di lavoro in un paese dell’Est, che non ricordo più, mi pare fosse Bulgaria, ma non garantisco. E’ misteriosa anche per noi!

D: Progetti per il futuro?

Alberto: Non ho capito la domanda.
Matteo: Ahaha! Personalmente ho un sacco di progetti per il presente.

Per ricevere “The Last Five Minutes” potete rivolgervi a:

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The Last Five Minutes: musica electro ambient

The Last Five Minutes CD Alberto Carozzi Matteo Uggeri Sparkle in Grey

E’ curioso e misterioso come è nato l’album “The Last Five Minutes“. Tutto è partito da una sorta di complimento fatto da un ascoltatore alla fine di un concerto ad uno dei musicisti in merito alla sua chiusa chitarristica: 5 minuti talmente intensi e suggestivi che non si volevano perdere e lasciare solo alla memoria degli spettatori presenti al concerto. Dal complimento al coinvolgimento di un terzo musicista il passo è stato breve: serviva arricchire con battiti ed effetti sonori la trama sonora della chitarra. Il disco di cui sto scrivendo è intitolato “The Last Five Minutes” e i fautori sono Marco Pandin (stella*nera), Alberto Carozzi e Matteo Uggeri, quest’ultimi i due musicisti del progetto e degli Sparkle in Grey. Marco rimase colpito dal flusso sonoro creato dalla chitarra di Alberto, suonato nel finale di un concerto. L’idea era di non perdere quel finale particolare: “una lunga dissolvenza della chitarra, quasi a non suonarla ma mantenendo viva quella melodia in una spirale infinita, una sorta di feedback che non finisce“. Alberto, mantendo lo spirito della serata originaria, riprende quella registrazione e con qualche minimale intervento decide di coinvolgere Matteo Uggeri, suo compagno nella parte elettronica degli Sparkle in Grey. Matteo arricchisce e spezzetta “5 minuti” di effetti sonori, di percussioni etniche, creando un album di musica ambientale di ben cinque brani, ognuno allungato di oltre quei famosi cinque minuti.

I “battiti” percussivi sono di origine esotica, tribale e talvolta suonati modernamente dalle piccole figlie di Matteo, mentre ascoltavano i brani “quasi finiti” dal padre. Il risultato è affascinante, straniante, a volte rilassante e sicuramente interessante. Ci si addentra in cinque percorsi immaginari, all’inizio magari timorosi e come non lo è un inizio di viaggio? Proseguendo il sentiero musicale, appaiono le meraviglie della notte, come lucciole o forse scintille nel buio.

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