Tutto andrà bene 13

La malattia Covid-19 è arrivata in maniera silenziosa e strisciante qui da noi. All’inizio sembrava lontana, là in Cina ed invece eccola fra di noi.
Ci fa provare insicurezza e paura: credo che sia innegabile. Fatalità due giorni fa una gradita sorpresa: il postino (grazie per il suo lavoro) mi ha consegnato un pacchetto, con il doppio album di “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear“. Si tratta della nuova edizione in CD del progetto grafico – sonoro curato da Marco Pandin nel 1987, oramai esaurito e quasi introvabile, se non a delle cifre esagerate. Si tratta di una raccolta di brani musicali, disegni e poesie espressamente scritti e registrati per “F/ear this!“.
Ho pensato che fosse interessante scriverne, perché questo doppio CD tratta del sentimento della paura e dell’insicurezza che poteva suscitare alle persone il pericolo nucleare negli anni’80: positivo il modo in cui gli artisti che parteciparono “F/ear this!” reinterpretarono la paura, magari proprio per esorcizzarla ed allontanarla da sé. Anche ora in questi giorni questo progetto artistico musicale mi sembra attuale.

Oltre ai due album vi è allegato un libro con opera grafiche, collage e poesie, seguito dal mailartist Vittore Baroni di TRAX. Gli stili musicali sono molteplici: il jazz più estremo, la new wave anni ’80, il punk, la musica elettronica e fino ad arrivare alle sperimentazioni ambient o altre contaminazioni sonore, melodiche e bizzarre. La raccolta, già dal titolo, ha come tema “la paura“: gli artisti hanno cercato di parlarne, di raccontarla musicalmente o graficamente, come se fosse un veicolo per allontanarla da sé e tenere a freno le proprie ansie. “F/ear this!” è nata nel 1986 ed è stata pubblicata all’inizio del 1987. Se ricordate fu un periodo in cui vi era lo schieramento frontale fra gli U.S.A. e l’U.R.S.S. ed era diffusa la paura (appunto) per la catastrofe atomica. Nello stesso anno era appena successo l’incidente nucleare di Chernobyl. Marco Pandin ricorda: “un guasto terribile … che distava da noi neanche un paio di giorni di viaggio: sembrava che i nostri incubi prendessero una qualche forma fisica, si riusciva a vederne chiaramente i contorni, a toccarli, ad inghiottirli, a respirarli“. Il pregio di “F/ear this!“, ora ci torna fra le mani, non sembra per nulla invecchiata, anzi resta così attuale e ricca di significati. La particolarità è l’assieme di stili musicali molto differenti fra loro, ma proprio queste differenze fanno di “F/ear this!” il suo valore più importante.

Per ricevere “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear” potete rivolgervi a:

Per ricevere “F/ear this! A Collection Of Unheard Music, Unseen Images and Unwritten Words Inspired By Fear” potete rivolgervi a:

Ho appena ricevuto un link con una bella e completa intervista a Marco Pandin, la trovate qui: Tregua Mai – Marco Pandin e il progetto F/Ear this!

Ripubblicato: oh, america di Penny Rimbaud

Penny Rimbaud è stato uno dei fondatori della collettivo anarcopunk dei Crass. Lui è sempre stato in prima linea per portare avanti una cultura di pace, di uguaglianza e di libertà.
Nel 2002 scrisse “oh, america“, ispirandosi al sonetto “The new colossus” scritto da Emma Lazarus nel 1883, riportato alla base della Statua della Libertà.

La non etichetta stella*nera ripropone questo sarcastico testo di Penny Rimbaud, tradotto in italiano.
Mi sembra una scelta appropriata, visti i tempi che corrono e i “protagonisti” beceri, vicini e lontani, che ci ritroviamo fra i piedi.

Riferimenti
  • Il libretto di sei pagine non è distribuito commercialmente, si può richiedere a stella*nera oppure a Dethector in cambio di un’offerta libera/consapevole.

Sparkle in Grey e Milano: intervista

A Milano c’è un gruppo musicale particolarmente originale: gli Sparkle in Grey. Gli ho scoperti da poco tempo e mi hanno particolarmente colpito con il loro ultimo album “Milano“.
Ascoltando i brani dell’ultimo album “Milano”mi è sembrato di percepire delle scintille nel buio, proprio come il loro nome. Un aspetto interessante degli Sparkle in Grey è la commistione di generi musicali: rock, musica elettronica, pensati in chiave strumentale. Il gruppo milanese non canta ma suona, talvolta ospita dei cantanti o inserisce dei campioni vocali. La musica è quindi strumentale e i titoli delle canzoni aiutano ad evocare delle atmosfere e quindi “Milano” è una sorta d’omaggio ad una città complessa .Le canzoni tendono ad indicare dei sentieri sonori, che mi hanno guidato nei meandri della metropoli lombarda. Una sensazione di perdita di orientamento mi ha accolto, ma per fortuna le interpretazioni degli Sparkle in Grey non mi hanno abbandonato fra la folla cosmopolita e fra i miasmi dei tubi di scappamento dei mezzi di trasporto. Gli Sparkle in Grey sono quattro musicisti di provenienza musicale diversa fra loro ed ero talmente incuriosito di approfondire la genesi di “Milano”, che ho provato a contattarli tramite il loro sito. Ha risposto Matteo Uggeri, che si è reso disponibile a parlare del disco e del gruppo.

Sparkle in Grey in studio

Domanda: Matteo, grazie per questa chiaccherata per prima cosa. Raccontami chi sono gli Sparkle in Grey.
Risposta: Innanzitutto grazie a te! Be’, gli Sparkle in Grey sono i ‘paladini del non genere’, o così ci ha definiti un giornalista del Mucchio anni fa, cosa che ci è molto piaciuta. All’anagrafe siamo Alberto Carozzi, Cristiano Lupo, Franz Krostopovic e me, più ormai, quasi stabilmente, Simone Riva, che dall’essere colui che ci affittava la sala prove (il “Silos” di Pagnano, nei pressi di Merate), è diventato batterista jolly e in un prossimo disco sarà presente in quasi tutti i brani. Negli anni sono stati Sparkle in Grey anche tanti altri ospiti che hanno reso la nostra musica più speciale, tra cui Osvaldo Arioldi Schwartz, Zacharia Diatta, Reem Soliman, Alessandro Pipino e tanti altri… Tutti in un certo senso indispensabili alla causa!

D: La vostra è un unione musicale lunga, che è culminata com l’ultimo album “Milano“. La vostra città?
R: In realtà non è proprio ‘la nostra città’: due di noi (io e Cris) ci vivono, ma gli altri (Franz e Alberto, nonché Simone) stanno in Brianza. Ma siamo tutti ‘city users’, come si dice adesso. Milano è una città difficile, il luogo comune dice che dà molto ma chiede molto. Siamo arrivati a trattarne perché il nostro sguardo musicale vaga di continuo tra il dentro ed il fuori: siamo partiti da tre dischi diciamo intimi, “The Echoes of Thiiings” (2005), “Nefelodhis” (con M.B., 2007) ed “A Quiet Place” nel 2008. Ai tempi anche la situazione politica e sociale consentiva di spendere tempo ed energie per guardarsi dentro e scoprire cose dolci o inquietanti. Col passare degli anni ci è parso che dovessimo occuparci anche di altri luoghi e di sognare una fuga o gettare sguardi su contesti ancora più tribolati (“Mexico”, 2011), oppure di mettesi a lottare contro tutto e tutti (“Thursday Evening, 2013, in cui era contenuto un sasso vero da usare a discrezione dell’ascoltatore). Nel frattempo ci sembrava lo stesso indispensabile conservare anche uno sguardo più intimo, sebbene sempre militante, ed abbiamo fatto il disco acustico, “The Calendar”, un ritorno alla terra. Senza accorgercene, nel frattempo altre musiche migravano lecitamente nelle nostre, e così è nato il disco “ﺭﺍﺩﻳﻮ ﺇﺯﺩﺍﻍ”, nel 2016, quando la Lega ancora non era al potere, quindi forse non è bastato. Allora, appunto, rieccoci con un’azione locale, speriamo di qualche valore, con “Milano”, in cui per la prima volta ci sono anche cover di pezzi di cantautorato italiano (da Enzo Jannacci e Roberto Vecchioni, per la cronaca), ma accanto a Throbbing Gristle e Cole Porter.

D: Mi racconti come è il vostro approccio in studio?
R: Come forse si evince dalla risposta precedente, in continua mutazione in termini di obiettivi artistici, ma abbastanza costante come modalità.
La procedura prevede:

  • Cena assieme, se possibile a casa di uno dei membri (di solito Alberto), a base di salumi, carboidrati e vino rosso (di solito di Cristiano);
  • In alternativa cena in luoghi sacri (se possibile l’Osteria Crono in via Pascoli a Milano, e la pubblicità occulta è qui del tutto volontaria);
  • Discussioni su vita, cinema, musica, calcio e orrori lavorativi quotidiani;
  • Svogliata corsa verso la sala prove (di solito il succitato Silos, per “Milano” il Guscio a Milano);
  • Montaggio della strumentazione in quasi rigoroso ed imbarazzato silenzio, ed incontro con l’owner della suddetta (di norma appunto Simone Riva che sovente, a seconda dell’umore e delle energie residue, può unirsi in qualità di batterista oppure riscuotere e ritirarsi);
  • Proposta da parte di Uggeri dei ‘brani della serata’ con relativa partenza delle basi ritmiche elettroniche;
  • Creazione e/o perfezionamento dei brani in questione da parte di tutti i componenti, fino all’avvenuta ‘forma finale’;
  • Registrazione delle varie take in modalità ‘cheap’, solo come promemoria, con successiva condivisione digitale via Dropbox (pubblicità, di nuovo).

In sostanza, mischiamo quella che potremmo definire una improvvisazione controllata “a prove ed errori” cui seguono tediosi processi di costante raffinamento dei brani che creiamo. Non so se il tutto è chiaro, ma è spiegato con quanta più onestà possibile.

D: Come è nato “Milano”? Immagino che siano nate delle idee “evocative” per poi giungere alla sua realizzazione finale.
R: Non saprei dirti. Mentre me lo chiedi mi viene in mente che tutti brani che hanno il sax di Cris come protagonista nel disco (la maggior parte) nacquero a casa di Alberto – quindi nemmeno in sala prove – in modo molto quieto, perché non potevamo fare casino. Non ricordo più perché non si andava al Silos, ma credo fosse perché io mi ero da poco trasferito appunto a Milano (prima stavo anche io in Brianza da molti anni, dopo esser nato nel capoluogo). Non ce la facevo a trovare le forze per la saletta, ancora più distante, anche perché al ritorno (verso la 1:30 di notte) sapevo che mi aspettava l’infinita ricerca di parcheggio. Per me dedicare un lavoro a Milano significava anche una catarsi rispetto alle fatiche che vivere in una città così mi imponeva (e mi impone tuttora, sebbene ora mi ci sia riappacificato).

D: Ascoltando l’album e leggendo le note di copertina, mi sembrate votati all’autoproduzione.
R: Sì e no: non è per una questione di voglia di indipendenza che ci autoproduciamo, ma è vero che per una musica fuori dai generi come la nostra è difficilissimo trovare label che ci credano e investano. Inoltre abbiamo una certa maniacalità per il formato in cui escono i dischi, grafiche comprese, e farceli da soli ci consente di fare tutto più o meno come ci pare (compatibilmente con il danaro a disposizione). È ideale quando etichette coraggiose come la mitica ADN, la minuscola ma resistente Moving Records e l’indomita stella*nera (Marco Pandin) ci supportano in tutto questo. A volte ci sembra incredibile, e la nostra gratitudine verso le persone che le gestiscono è immensa e sincera.

Sparkle in Grey MilanoD: Molto bella la copertina, me ne parli?
R: Da quasi sempre disegno io le illustrazioni per i dischi di Sparkle in Grey, ma per gli ultimi (lo split coi Controlled Bleeding e “ﺭﺍﺩﻳﻮ ﺇﺯﺩﺍﻍ”) non ce l’avevo fatta, non so perché, non mi veniva. Per “Milano” invece ho ritrovato l’ispirazione grazie alle chiacchiere serali nelle suddette cene (l’idea di metterci degli alberi venne a Cristiano e Alberto), a mia moglie (della quale ritrovai dei pastelli a cera che usava da bambina, con cui ho colorato tutto, e che è appassionatissima di libri illustrati) e alla mia prima figlia, con la quale disegnai la copertina mettendoci lei sulla palma. Aveva 3 anni ai tempi, ora ne ha 5 e ne va assai fiera, e sostiene che la sorella, Nora, sia quella disegnata sul CD (ma non era ancora concepita ai tempi… eppure forse è lei!).
Le immagini interne, di noi che suoniamo alla Scala, nudi, mentre l’acqua allaga tutto, mi sono sovvenute come un’ispirazione fulminante quando sono stato per la prima volta, sempre due anni fa, in quel teatro, grazie peraltro alla generosità di Valeria Bodanza, figlia del celeberrimo Pippo Bodanza, prima tromba della Scala per molti anni.

D: Presenterete “Milano” dal vivo?
R: No. E purtroppo non è una provocazione. È un dato di fatto: incrociare le agende di tutti noi per le prove e i live, ma soprattutto trovare venues che ci accolgano a condizioni decenti è durissima. Paradossalmente, i brani di Milano sono stati suonati live parecchi anni prima che il disco vedesse la luce, in poche occasioni. Saremmo felici di farlo d nuovo, ma onestamente vedo la cosa come poco probabile. Magari in futuro sarà più facile. I pezzi dei due prossimi dischi in uscita sono in un caso non suonabili live per niente (hanno tutti dei cantanti ospiti), oppure fatti per essere suonati live. Sono quelli di un disco chiamato “Addio”, che speriamo veda la luce nel 2021. Per quest’anno, appunto ci concentriamo sul disco cantato, “Two Sing Too Swing” (titolo provvisorio). Io non amo molto suonare live, devo ammetterlo, ma gli altri sì, solo che ciò non basta a fare di noi una touring band, quindi anche la nostra potenziale fama ne risente molto. Credo sia il nostro limite più grosso. Mi appello al fatto che anche gente come Beatles e R.E.M. ha smesso di fare concerti da un certo punto in avanti. Certo, prima di fermarsi ne hanno calcati di pachi! La sigla Sparkle in Grey compie 20 anni quest’anno (1999-2019), magari un concertino per ricordarcelo sarebbe bello farlo, chissà…

Riferimenti

Mike Watt Le tre opere: intervista al traduttore

Mike Watt writing poems stella * nera

Il libro Watt di Hector Valmassoi contiene i testi delle canzoni del musicista Mike Watt. Hector ha scelto di tradurre gli album che il musicista ha ribattezzato le Tre opere punkContemplating the engine room, The secondman’s middle stand e Hyphenated-man. Questi dischi sono significativi perché riguardano dei passaggi particolari nella vita del musicista di San Pedro. Gli album sono stati pubblicati fra il 1997 ed il 2010.

Oltre ai testi degli album, Hector ha inserito una raccolta di poesie di Mike Watt: impressioni di vita, punti di vista introspettivi o in ricordo di musicisti (John Coltrane, John Entwistle dei The Who). Un approfondimento per scoprire un’altra sfaccettatura della sensibilità del musicista di San Pedro.

Mike Watt è stato il bassista dei Minutemen, un gruppo musicale dell’underground americano degli anni’80. La band iniziò con il punk ma il loro stile si trasformò in una musica più creativa, mescolando punk rock con sonorità jazz e funk. I Minutemen interruppero l’attività musicale per la morte prematura di D. Boon, cofondatore del gruppo e amico fraterno di Mike. Il musicista ha continuato a suonare dando vita ai fIREHOSE e collaborando con gruppi indipendenti, come i Sonic Youth oltre a suonare dal 2003 il basso con Iggy Pop and the Stooges.
Sono state la presentazione del libro, la cura e la passione con cui Hector ha svolto il lavoro, che mi hanno fatto intuire un qualcosa in più oltre alla traduzione dei testi di Mike Watt.

Domanda: Hector, sono rimasto piuttosto sorpreso di vedere e leggere un libro italiano sui testi di Mike Watt.
Risposta: Sono sorpreso anch’io che finora nessuno ci abbia pensato. Probabilmente è qualcosa che non ha mercato. Mentre raccoglievo materiale che mi sarebbe servito per la realizzazione del libro, ho spesso osservato che l’editoria italiana, tranne qualche raro caso – “American hardcore” di Steven Blush tradotto e pubblicato da Shake e, più tardi, “American Indie”, traduzione di “Our band could be your life” di Michael Azerrad uscito per Arcana – ha stranamente trattato di punk o della cosiddetta musica indie saltando dai Sex Pistols direttamente ai Nirvana, dimenticando tutto ciò che è avvenuto in mezzo. Mi riferisco alla scena underground americana degli anni ottanta ed in particolare a tutto il fermento che ne è scaturito con i gruppi che, partendo da sonorità hardcore, hanno sviluppato linguaggi differenti ed originali, virando verso contaminazioni con altri generi musicali ed arricchendo così il proprio lavoro di nuove idee e nuove sonorità: Minutemen, Hüsker Dü, Saccharine Trust, Mission of Burma, Butthole Surfers, solo per citare alcune bands tra quelle che hanno contribuito alla mia “educazione”. Ecco, credo di aver voluto scrivere il libro che avrei voluto leggere.

D Boon Minutemen - punk is whatever we made it to besticker di Robert Locker

D: Mike Watt e i Minutemen sono stati un esperienza importante nel panorama della musica underground americana.
R: I Minutemen hanno aperto nuove strade: musicalmente hanno esplorato nuovi territori, sono stati rappresentativi dell’etica punk del do-it-yourself, hanno riempito le canzoni di riflessioni personali e di idee politiche, hanno funzionato anche da collante per la comunità punk della South Bay di Los Angeles e come esempio per molte bands sparse per gli Stati Uniti. Con la morte di D. Boon, avvenuta nel 1985 in un incidente stradale, molto è andato perso. Mike Watt continua a portare avanti i messaggi e le motivazioni che sono stati la spinta iniziale del suo motore: ancora oggi conclude i suoi concerti con l’invito “Start your own band”, mettete in piedi il vostro gruppo.

D: Perché hai scelto di tradurre gli album “Contemplating the engine room”, “The secondman’s middle stand”e “Hyphenated-man” e non i testi dei Minutemen?
R: Sono partito con l’idea, in verità abbastanza folle, di pubblicare le traduzioni di tutti i testi scritti da Mike Watt, comprendendo quindi le canzoni scritte, cronologicamente, per Reactionaries, Minutemen e fIREHOSE, per arrivare infine ai dischi solisti. Intorno ai vent’anni avevo già tradotto, ad uso strettamente personale, per comprendere meglio qualcosa che percepivo così vicino a quello che mi girava in testa, le canzoni di Minutemen e fIREHOSE, chiedendomi nel corso degli anni se valesse la pena riprenderli in mano e ricavarne un libro. Le traduzioni sono ancora tutte lì ed ogni tanto penso che sì, potrei tirarci fuori qualcosa di interessante. La scelta di focalizzare il libro sulle tre opere è stata di Watt, con cui ho condiviso tutto il percorso di realizzazione, dalla traduzione fino alla decisione di pubblicarlo fuori dai canali commerciali.

Mike Watt albums Contemplating The Engine Room - The Secondman's Middle Stand - Hyphenated-Man

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La mia non classifica musicale del 2016

La mia non classifica 2016 musicale

Ecco la mia non classifica musicale del 2016.
I dischi usciti quest’anno sono sempre tanti: non è facile scegliere e trovare il tempo per ascoltarli. Gli album di questo 2016 sono in parte di musicisti fra i miei preferiti da sempre, altri invece sono stati una piacevole sorpresa.
Mi sono piaciute molte le autrici femminili: P. J. Harvey su tutte, d’altronde le donne, come l’anno scorso, hanno inciso dei dischi interessanti. Gli autori italiani hanno scritto degli ottimi album che lasciano il segno. Alcune di queste canzoni sono riuscito ad ascoltarle in concerto. Non so se sono i migliori, ma sono quelli che davvero mi sono piaciuti e mi hanno dato tanto.

Il 2016 purtroppo si è portato via due meravigliosi artisti: David Bowie e Leonard Cohen.

Bon Iver “22, A Million”

Un disco strano e particolare, almeno per il mio gusto. Musica folk ed elettronica, curato e non scontato. Vi è un enigma che non ho ancora scoperto … Chissà …
Link traccia d’ascolto

Vinicio Capossela “Le Canzoni della Cupa”

Un album doppio che richiede il suo tempo per entrare nelle storie di Vinicio. Le canzoni provengono dalla sua personale ricerca nella musica popolare della Basilicata, altre sono ispirate dalla stessa regione. Si imboccano i sentieri musicali di Vinicio per arrivare alla cittadella del suo universo da cantastorie / poeta.
Link traccia d’ascolto

Nick Cave & The Bad Seeds “Skeleton Tree”

Uno dei miei miti e musicisti preferiti, i suoi album, come per P. J., li prendo sempre. Skeleton Tree non è facile da assorbire, perché è stato terminato dopo un fatto triste e drammatico per Cave. Le musiche e i suoni che lo compongono sono molto originali e nuovi per Cave, i testi poi … beh li trovate tradotti qui: nickcave.it.

Eleanor Friedberger “New View”

L’ex cantante dei Fiery Furnaces ha registrato un disco indie cantautoriale, piacevole e carino. Non male.

PJ Harvey “The Hope Six Demolition Project”

Una delle mie autrici preferite, cosa devo dire di più? I suoi dischi si prendono a scatola chiusa. Questo album ha una sua originalità nei suoni e nel modo in cui è stato pensato e registrato, poi su tutto la voce di P. J. è straordinaria. Amo P. J.Link traccia d’ascolto

Mau Mau “8000 Km”

Il gruppo torinese è tornato con un album dedicato al nostro paese. Ci sono storie del passato che mi hanno portato al presente. Un album dove la musica è allegra ma non rinuncia a denunciare e a farti tenere gli occhi e le orecchie aperte. Sempre emozionanti in concerto: visti al Festival di Radio Onda d’Urto, Brescia.

99 Posse “Il Tempo. Le Parole. Il Suono”

Luca O’Zulu e soci sono tornati con un disco più introspettivo, più rivolto “al capirsi” e al mondo che ci circonda. Apparentemente meno battagliero ma sempre attento alle situazioni sociali. Grandi i suoni, poi i testi di Luca lasciano il segno. Belle le collaborazioni con i rapper napoletani. Dal vivo i 99 Posse sono fenomenali: visti in concerto a Brescia.

Radiohead “A Moon Shaped Pool”

Riescono ad essere orginali e riconoscibili pochi, giocando fra musica rock, cantautorato e musica elettronica. Un disco che cresce, ascolto dopo ascolto.

Soundwalk Collective & Jesse Paris Smith con Patti Smith “Killer Road”

Gli autori creano un sottofondo notevole per ambientare l’omaggio a Nico. Su tutto domina la voce di Patti Smith, che legge, interpreta, prega, racconta e accompagna nella lunga passeggiata che porta a Nico.

Teho Teardo & Blixa Bargeld “Nerissimo”

Un disco densissimo di suoni, parole e storie. Un modo originale di raccontare musicalmente ed interpretare vocalmente le canzoni. Un album che ho atteso perché trovo intrigante la collaborazione fra un italiano e un berlinese.

Ben Watt “Fever Dream”

Ecco un disco attuale, fatto da un musicista eclettico e completo. Un album ricco di sfumature, da scoprire. Un rock intimo, amichevole, insomma un disco d’autore.

Warpaint “Heads Up”

Le quattro ragazze ci sanno fare e in questo album suonano più dolcemente, melodiose e leggere, un po’ meno post punk. Le canzoni sono seducenti e ballabili ma chisenefrega: sono brave e dal vivo a Berlino hanno “spaccato“.
Link traccia d’ascolto

Neil Young “Earth”

Mannàggia, quest’uomo non è capace di stare fermo a oltre settant’anni: continua a pubblicare album e fare concerti. Proprio a dicembre è arrivato un suo nuovo album solista di denuncia. Il disco live “Earth” è straniante, Young ha pensato di mixare le voci della Natura assieme ai brani registrati dal vivo. Mi è piaciuto ascoltare il ronzio delle api e lo starnazzare delle anatre, nelle canzoni suonate con i Promise of the Real. Visti dal vivo quest’estate a Piazzola sul Brenta.

Inoltre non voglio scordare due produzioni della non etichetta stella*nera: beat! Roma II festival internazionale dei poeti 28 luglio 1980 e “Non un uomo né un soldo …” di Stefano Dellifranti.

La mia non classifica musicale annuale degli anni scorsi è qui.

OAC Fest 2016: un festival musicale da scoprire

L’On a Chair Festival 2016 è un ritrovo musicale che si è svolto a Torreglia in provincia di Padova. Uno spazio auto organizzato per musicisti solitari e per un pubblico curioso e attento. L’OAC ha offerto un luogo-situazione in cui gli artisti hanno cantato a stretto contatto con la gente. Ci deve essere stata una bella atmosfera all’OAC, così traspare dal racconto delle serate di Marco Pandin.

On the Chair 2016 foto live - Gypsy Rufina, Phill Reynolds, Dagger Moth, Giorgio Canali

Il secondo OAC Fest si è tenuto verso metà settembre in una vecchia corte benedettina sui colli Euganei, solo a pochi chilometri da casa mia. La cosa è stata messa in piedi da Associazione Umami, un’associazione di ragazze e ragazzi piuttosto attivi in zona: l’intenzione è offrire un’occasione ed uno spazio a musicisti che operano in solitudine, strumentisti e cantanti soli soletti sulla pedana, e preferibilmente ma non necessariamente seduti su una sedia (ecco chiarito l’on a chair). L’anno scorso la manifestazione era stata organizzata ad Abano Terme occupando e riarrangiando uno spiazzo malutilizzato a ridosso del centro città: erano stati chiamati a partecipare – tra gli altri – alcuni chitarristi non allineati come Egle Sommacal, Maurizio Abate, Laboule e Stefano Pilia ed una sorprendente Elli De Mon.

Per molti versi il Fest 2016 è stata una sostanziale conferma delle buone intenzioni che motivano lo sbattimento e degli organizzatori e dei musicisti, per altri si è rivelata una sorpresa, come una specie di regalo collettivo, ramificato, multidirezionale ed inaspettato nella forma che ha preso. Quest’anno la direzione artistica pare essersi indirizzata verso la canzone d’autore meno identificabile come tale – molte virgolette tutt’intorno a queste due parole, canzone d’autore. Ho potuto ascoltare dei cantautori che non si sentono tali, che non fanno i cantautori per mestiere, o che per lo meno sono determinati a non farlo in maniera tradizionale e convenzionale. Le loro proposte sono derivate da scelte radicali e consapevoli di campo, non tanto in senso ideologico o di schieramento quanto muovendosi in un più ampio contesto culturale, se non facendone addirittura una questione di stile di vita. Mentre il Fest accade e facendo un po’ il punto a Fest finito, mi colpisce in senso positivo il fatto che scarseggi oppure manchi del tutto l’impulso a cercare sostegno nelle strutture organizzate, e si punti preferibilmente sull’autogestione e l’autoproduzione, di quanto sia fondamentale il rapporto orizzontale e diretto con chi ascolta – briciole dell’eredità anarcopunk, mi sento di azzardare.

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beat! Roma II festival internazionale dei poeti 28 luglio 1980

Copertina di beat! a Roma II festival internazionale dei poeti 28 luglio 1980 stella*neraIniziai a conoscere la Beat Generation verso la metà degli anni ’80, leggendo Sulla strada di Jack Kerouac, prestatomi da un amico.
Da quel libro, tradotto da Fernanda Pivano, il passo fu breve per conoscere gli altri poeti Beat come Ferlinghetti, Ginsberg e qualche altro artista vagabondo.
La poesia Beat mi aprì un nuovo modo di leggere e vedere il mondo circostante.
Pensai che figata doveva essere poter ascoltare le loro voci mentre leggevano le poesie …
stella*nera, la non etichetta di Marco Pandin, ha pubblicato un libro con CD audio sulla Beat Generation. Perché?
Beh, Marco era presente alle letture dei poeti beat invitati a Roma per il Festival Internazionale dei poeti. Poco tempo fa, nell’underground di casa Pandin, spuntano fuori un paio di nastri registrati della serata.
Ora possiamo ascoltare dalla viva voce degli artisti presenti il beat recitato poetico. I contributi sonori furono registrati il 28 luglio del 1980.

Nel libro vi sono le traduzioni delle poesie lette dagli autori. Sono presenti alcuni saggi sulla poesia e i movimenti politici. Vi è anche un colloquio con la massima conoscitrice dei poeti Beat, Fernanda Pivano, intitolato Beat utopia.

Contributi sonori di Anne Waldman, Antler [Brad Burdick], John Giorno, Joanna Mc Clure, Michael Mc Clure, Gregory Corso, William Burroughs, Allen Ginsberg & Peter Orlovsky.
Contributi scritti di Lawrence Ferlinghetti, Fernanda Pivano, Gabriele Roveda, Redazione di A/Rivista Anarchica.

Riferimenti:
  • Il libro comprensivo del CD, non è distribuito commercialmente, si può richiedere a stella*nera oppure a Dethector in cambio di un’offerta libera/consapevole.
  • Ogni copertina ha un oggetto creato dai ragazzi del Ceod “S. Giuseppe” di Padova, che ospita persone con disabilità.

 

Franti 2016 situazione non classificata

Franti, riprendendo quelle situazioni …

Talvolta parlando con amici e conoscenti ci si chiede … e i Franti? Chi per curiosità, chi per amicizia ma soprattutto per chi l’esperienza lasciata dal collettivo musicale torinese era ed è rimasta importante.

Pur non amando le classificazioni, i Franti si autodefinirono una hardcore folk band.

Lalli, Stefano Giaccone e gli altri componenti dei Franti hanno continuato da soli o a volte incrociandosi ma troppo forte è la memoria musicale dei Franti lasciata a molto di noi, sulla società, sul lavoro, sul rapportarsi con gli altri. Tutto nasceva dalla loro musica per raggiungere chi aveva o ha il desiderio di non essere assimilato a una persona non pensante. Una delle loro caratteristiche fu di attenersi alla completa autogestione: dischi, cassette audio e concerti con la loro supervisione.

La non etichetta stella*nera di Marco Pandin ristabilisce un contatto con l’opera dei Franti, ristampando i 3 CD di “Non Classificato” e l’album di Stefano Dellifranti “Non un uomo né un soldo …”, entrambi esauriti da tempo. L’edizione del 2015 contiene i tre album e un libro ricco ricco di materiali sui Franti. Entrambe le edizioni sono state curate personalmente da Marco Pandin con Ettore Valmassoi e l’approvazione dei membri del gruppo torinese.

Dopo aver avuto fra le mani queste ristampe, ho voluto parlarne con Marco.

Domanda: Da dove nascono registrazioni de “Non un uomo né un soldo …”?
Risposta: Si era nel gennaio e febbraio 1991, prima guerra del Golfo, alla fine dell’escalation di eventi che avevano portato all’operazione Desert Storm. Stefano Giaccone, Lalli e Toni Ciavarra avevano raccolto una manciata di canzoni per dire ancora una volta no alla guerra. Sono bastate poche ore, buona la prima. Ne era stata fatta una cassetta a nome Stefano Dellifranti (+ Lalli e Toni), titolo “Non un uomo né un soldo”, messa in circolazione in poche copie di fattura casalinga, invitando a copiare e diffondere. Un messaggio in bottiglia, come si fa da sempre, affidato al mare con la speranza che non arrivi sulla spiaggia sbagliata.

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Stefano Dellifranti alias Stafano Giaccone

Stefano Dellifranti + Lalli e Toni Ciavarra Stefano Giaccone

Non un uomo né un soldo …” di Stefano Dellifranti esce in ristampa su CD-r, dal nastro realizzato nel 1991, ormai introvabile.
Si tratta di una delle diramazioni di Stefano Giaccone, alias Stefano Dellifranti.
Nella ristampa ho scoperto che oltre a Stefano vi sono i contributi strumentali e vocali di Lalli e Toni Ciavarra.

Il CD-r uscirà il 24 settembre e se sarete a Milano lo troverete al Liber Salone.

Riferimenti:
  • Il CD-r non è distribuito commercialmente, si può richiedere a stella*nera oppure a Dethector in cambio di un’offerta libera/consapevole.

Dritti contro un muro: incontri e scontri anarcopunk a Verona

Dritti contro un muro Sobilla Verona 2015 anarcopunk logo

L’associazione culturale La Sobilla e la Biblioteca Giovanni Domaschi organizzano tre incontri sulla scena underground punk anarchica italiana degli anni’80. L’occasione è ghiotta perché ci saranno due presentazioni di libri e una proiezione del docufilm “Italian Punk Hardcore 1980-1989 The movie“.kina come macchine impazzite copertinaIl 13 febbraio Marco Pandin di stella*nera presenterà il libro “Come macchine impazzite – Il doppio spara dei Kina” di Giampiero Capra e Stephania Giacobone dedicato alla punk band dei Kina.

Giampiero Capra è stato il bassista e uno dei fondatori dei Kina, la punk band aostana. Lui e i suoi compagni hanno suonato in tutt’Italia e in Europa, durante gli anni ’80 e poco più in là. I Kina sono stati uno dei gruppi seminali della scena hardcore punk italiana, un intreccio fra musica, militanza e impegno politico.
Il libro ha la particolarità d’essere un racconto a due voci, quella di Giampiero e di Stephania. Il primo è un musicista impegnato fra la propria musica e la gestione delle autoproduzioni dei Kina e di altre gruppi, con l’etichetta Blu Bus. Stephania invece scoprì i Kina molti anni dopo, seguendo dei sentieri musicali ad Aosta. La musica dei Kina le fece compiere una formazione personale e un riscatto rispetto all’ambiente in cui viveva.

Sarà presente Marco Pandin amico e profondo conoscitore dei Kina. Marco fanzinaro negli anni Ottanta con Rockgarage ed editore indipendente, dal 1984 collabora stabilmente con A/Rivista Anarchica. Da trent’anni cura l’attività di stella*nera, non-etichetta discografica caratterizzata dalla scelta radicale di porsi “fuori mercato”.

I prossimi incontri saranno:

  • Giovedì 18 febbaio, ore 20.00 – BLACK HOLE: uno sguardo sull’underground italiano. Incontro con Turi Messineo, autore del volume (Eris edizioni 2015) + proiezione
  • Giovedì 25 febbraio, ore 20.00 – ITALIAN PUNK HARDCORE 1980-1989: The Movie di Angelo Bitonto, Giorgio S. Senesi, Roberto Sivilia (Italia 2015), proiezione
Riferimenti:
  • La Sobilla – Salita San Sepolcro, 6b – Verona
  • Guarda  e scarica la locandina dei tre incontri alla Sobilla:
    Dritti contro un muro Sobilla Verona 2016 anarcopunk punx punk sobilla, marco pandin, kina