Tom Verlaine di Marco Pandin

Television - Marquee Moon

Quando ho preso “Marquee moon” avevo vent’anni. Dei Television era arrivato non so come in radio un settepollici senza copertina e con mezza canzone per facciata che grande parte dei miei compagni di trasmissioni riteneva inutile e banale preferendole certo rock-con-le-palle, i cantautori da raduno o le ultime briciole del prog. Siccome a me quel disco piaceva ma pareva lo schifassero tutti un giorno gliel’ho fregato, tanto quando lo ascoltavo a casa mica mi interessava ci fosse il timbro della radio sull’etichetta. Mi piaceva questo chitarrista misterioso (“Little Johnny Jewel” era arrivato senza copertina quindi senza foto né altre indicazioni utili, le uniche informazioni oltre al nome del gruppo erano un “Part one” e un “Part two” e un “Verlaine” scritto fra parentesi) che intesseva nella seconda parte della canzone come una tela di ragno esile sì ma vischiosa al punto che ci rimanevo intrappolato dentro ogni volta. Penso: quel Verlaine dev’essere senz’altro il Tom Verlaine che suona dentro a ”Horses” di Patti Smith. Sì dai, è lui. Un giorno in campo san Barnaba mettono in vetrina un disco dei Television: copertina nera, sopra c’è una fotografia di quattro messi male che mi guardano fissi, e uno di questi sembra mi voglia offrire qualche cosa – non so se un plettro, una moneta, una lametta, un mozzicone di canna. Il tipo del negozio mi spiega che “è musica punk tipo Patti Smith” (avevo già preso da lui “Radio Ethiopia” e “Horses”) e in cambio di “Marquee moon” gli do tutti i soldi che ho in tasca. Arrivo a piazzale Roma e salto sul primo autobus verso casa. Durante il viaggio mi giro e rigiro tra le mani la copertina del disco e vado avanti a fantasticare, quando arrivo a casa lo metto sul giradischi e tempo otto canzoni capisco meglio tutte quelle cose quelle facce quei discorsi e gli altri suoni che stavano intorno a “Little Johnny Jewel”. Quante volte ho ascoltato quel disco. Poi sono arrivati “Adventure”, poi il primo album solo di Tom Verlaine e nel tempo via via anche gli altri. Salto temporale di 45 anni. Vengo a sapere via whatsapp da qualcuno l’altro giorno che Tom Verlaine è morto. Ero su un treno verso Trieste mentre stavo andando al Germinal a ricordare Claudio Venza, un caro vecchio amico e compagno anarchico mancato da poco. Le due cose mi si sono mescolate in maniera strana dentro in testa. Claudio è stato uno dei miei cattivi maestri: l’ho incontrato alla libreria Utopia2 quando andavo a Cà Foscari, abbiamo cominciato a parlare e mi piaceva proprio parlargli e sentirlo parlare. Ero al mio primo anno d’università e stavo muovendo i miei primi passi dentro l’anarchia, lui deve avermi raccontato cose della guerra di Spagna – qualche anno prima mi ero ritrovato preso in mezzo a uno spettacolo di teatro povero allestito da Claudia Vio costruito tutto su quelle vicende, io ero solo un povero sbarbo ignorante con una chitarra a tracolla che la regista aveva amorevolmente cercato di sensibilizzare e informare. Poi Claudio l’ho incontrato per decenni alle riunioni della redazione di A/Rivista Anarchica, e per videoconferenza anche a ridosso della chiusura del giornale – una chiusura drammatica, improvvisa e dolorosa. A suo modo, anche se non l’ho mai incontrato né visto/sentito dal vivo, anche Tom “Verlaine” Miller è stato, se non proprio un cattivo maestro, certamente una cattiva compagnia.

Un cattivo compagno “punk come Patti Smith” che mi ha indicato, mostrato e accompagnato per certe strade sonore tutte sue facendo sì che fossero anche un po’ mie. Mi sono ritrovato dentro a certe sue canzoni come ci si ritrova dentro a certe poesie, con le parole che riverberano e cambiano colore mentre le osservi, e cambiano spessore, forma e luminosità. Proprio come quando un libro che ami lo leggi a vent’anni e poi lo rileggi a trenta o cinquanta sessant’anni trovandoci dentro storie differenti, così anche quando a vent’anni ascolti certe musiche che ami e poi le riascolti nel tempo, a trenta cinquanta sessant’anni dentro in testa ti suonano differenti, ci trovi dentro emozioni nuove, e particolari, e sorprese – quando non fontane di ricordi. Pensate che dopo tutti questi anni ogni tanto mi piace andare a perdermici ancora
dentro a “Little Johnny Jewel”, dentro a quella vecchia canzone inutile e banale, spezzata in due e senza copertina.
di Marco Pandin

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