Sparkle in Grey e Milano: intervista

A Milano c’è un gruppo musicale particolarmente originale: gli Sparkle in Grey. Gli ho scoperti da poco tempo e mi hanno particolarmente colpito con il loro ultimo album “Milano“.
Ascoltando i brani dell’ultimo album “Milano”mi è sembrato di percepire delle scintille nel buio, proprio come il loro nome. Un aspetto interessante degli Sparkle in Grey è la commistione di generi musicali: rock, musica elettronica, pensati in chiave strumentale. Il gruppo milanese non canta ma suona, talvolta ospita dei cantanti o inserisce dei campioni vocali. La musica è quindi strumentale e i titoli delle canzoni aiutano ad evocare delle atmosfere e quindi “Milano” è una sorta d’omaggio ad una città complessa .Le canzoni tendono ad indicare dei sentieri sonori, che mi hanno guidato nei meandri della metropoli lombarda. Una sensazione di perdita di orientamento mi ha accolto, ma per fortuna le interpretazioni degli Sparkle in Grey non mi hanno abbandonato fra la folla cosmopolita e fra i miasmi dei tubi di scappamento dei mezzi di trasporto. Gli Sparkle in Grey sono quattro musicisti di provenienza musicale diversa fra loro ed ero talmente incuriosito di approfondire la genesi di “Milano”, che ho provato a contattarli tramite il loro sito. Ha risposto Matteo Uggeri, che si è reso disponibile a parlare del disco e del gruppo.

Sparkle in Grey in studio

Domanda: Matteo, grazie per questa chiaccherata per prima cosa. Raccontami chi sono gli Sparkle in Grey.
Risposta: Innanzitutto grazie a te! Be’, gli Sparkle in Grey sono i ‘paladini del non genere’, o così ci ha definiti un giornalista del Mucchio anni fa, cosa che ci è molto piaciuta. All’anagrafe siamo Alberto Carozzi, Cristiano Lupo, Franz Krostopovic e me, più ormai, quasi stabilmente, Simone Riva, che dall’essere colui che ci affittava la sala prove (il “Silos” di Pagnano, nei pressi di Merate), è diventato batterista jolly e in un prossimo disco sarà presente in quasi tutti i brani. Negli anni sono stati Sparkle in Grey anche tanti altri ospiti che hanno reso la nostra musica più speciale, tra cui Osvaldo Arioldi Schwartz, Zacharia Diatta, Reem Soliman, Alessandro Pipino e tanti altri… Tutti in un certo senso indispensabili alla causa!

D: La vostra è un unione musicale lunga, che è culminata com l’ultimo album “Milano“. La vostra città?
R: In realtà non è proprio ‘la nostra città’: due di noi (io e Cris) ci vivono, ma gli altri (Franz e Alberto, nonché Simone) stanno in Brianza. Ma siamo tutti ‘city users’, come si dice adesso. Milano è una città difficile, il luogo comune dice che dà molto ma chiede molto. Siamo arrivati a trattarne perché il nostro sguardo musicale vaga di continuo tra il dentro ed il fuori: siamo partiti da tre dischi diciamo intimi, “The Echoes of Thiiings” (2005), “Nefelodhis” (con M.B., 2007) ed “A Quiet Place” nel 2008. Ai tempi anche la situazione politica e sociale consentiva di spendere tempo ed energie per guardarsi dentro e scoprire cose dolci o inquietanti. Col passare degli anni ci è parso che dovessimo occuparci anche di altri luoghi e di sognare una fuga o gettare sguardi su contesti ancora più tribolati (“Mexico”, 2011), oppure di mettesi a lottare contro tutto e tutti (“Thursday Evening, 2013, in cui era contenuto un sasso vero da usare a discrezione dell’ascoltatore). Nel frattempo ci sembrava lo stesso indispensabile conservare anche uno sguardo più intimo, sebbene sempre militante, ed abbiamo fatto il disco acustico, “The Calendar”, un ritorno alla terra. Senza accorgercene, nel frattempo altre musiche migravano lecitamente nelle nostre, e così è nato il disco “ﺭﺍﺩﻳﻮ ﺇﺯﺩﺍﻍ”, nel 2016, quando la Lega ancora non era al potere, quindi forse non è bastato. Allora, appunto, rieccoci con un’azione locale, speriamo di qualche valore, con “Milano”, in cui per la prima volta ci sono anche cover di pezzi di cantautorato italiano (da Enzo Jannacci e Roberto Vecchioni, per la cronaca), ma accanto a Throbbing Gristle e Cole Porter.

D: Mi racconti come è il vostro approccio in studio?
R: Come forse si evince dalla risposta precedente, in continua mutazione in termini di obiettivi artistici, ma abbastanza costante come modalità.
La procedura prevede:

  • Cena assieme, se possibile a casa di uno dei membri (di solito Alberto), a base di salumi, carboidrati e vino rosso (di solito di Cristiano);
  • In alternativa cena in luoghi sacri (se possibile l’Osteria Crono in via Pascoli a Milano, e la pubblicità occulta è qui del tutto volontaria);
  • Discussioni su vita, cinema, musica, calcio e orrori lavorativi quotidiani;
  • Svogliata corsa verso la sala prove (di solito il succitato Silos, per “Milano” il Guscio a Milano);
  • Montaggio della strumentazione in quasi rigoroso ed imbarazzato silenzio, ed incontro con l’owner della suddetta (di norma appunto Simone Riva che sovente, a seconda dell’umore e delle energie residue, può unirsi in qualità di batterista oppure riscuotere e ritirarsi);
  • Proposta da parte di Uggeri dei ‘brani della serata’ con relativa partenza delle basi ritmiche elettroniche;
  • Creazione e/o perfezionamento dei brani in questione da parte di tutti i componenti, fino all’avvenuta ‘forma finale’;
  • Registrazione delle varie take in modalità ‘cheap’, solo come promemoria, con successiva condivisione digitale via Dropbox (pubblicità, di nuovo).

In sostanza, mischiamo quella che potremmo definire una improvvisazione controllata “a prove ed errori” cui seguono tediosi processi di costante raffinamento dei brani che creiamo. Non so se il tutto è chiaro, ma è spiegato con quanta più onestà possibile.

D: Come è nato “Milano”? Immagino che siano nate delle idee “evocative” per poi giungere alla sua realizzazione finale.
R: Non saprei dirti. Mentre me lo chiedi mi viene in mente che tutti brani che hanno il sax di Cris come protagonista nel disco (la maggior parte) nacquero a casa di Alberto – quindi nemmeno in sala prove – in modo molto quieto, perché non potevamo fare casino. Non ricordo più perché non si andava al Silos, ma credo fosse perché io mi ero da poco trasferito appunto a Milano (prima stavo anche io in Brianza da molti anni, dopo esser nato nel capoluogo). Non ce la facevo a trovare le forze per la saletta, ancora più distante, anche perché al ritorno (verso la 1:30 di notte) sapevo che mi aspettava l’infinita ricerca di parcheggio. Per me dedicare un lavoro a Milano significava anche una catarsi rispetto alle fatiche che vivere in una città così mi imponeva (e mi impone tuttora, sebbene ora mi ci sia riappacificato).

D: Ascoltando l’album e leggendo le note di copertina, mi sembrate votati all’autoproduzione.
R: Sì e no: non è per una questione di voglia di indipendenza che ci autoproduciamo, ma è vero che per una musica fuori dai generi come la nostra è difficilissimo trovare label che ci credano e investano. Inoltre abbiamo una certa maniacalità per il formato in cui escono i dischi, grafiche comprese, e farceli da soli ci consente di fare tutto più o meno come ci pare (compatibilmente con il danaro a disposizione). È ideale quando etichette coraggiose come la mitica ADN, la minuscola ma resistente Moving Records e l’indomita stella*nera (Marco Pandin) ci supportano in tutto questo. A volte ci sembra incredibile, e la nostra gratitudine verso le persone che le gestiscono è immensa e sincera.

Sparkle in Grey MilanoD: Molto bella la copertina, me ne parli?
R: Da quasi sempre disegno io le illustrazioni per i dischi di Sparkle in Grey, ma per gli ultimi (lo split coi Controlled Bleeding e “ﺭﺍﺩﻳﻮ ﺇﺯﺩﺍﻍ”) non ce l’avevo fatta, non so perché, non mi veniva. Per “Milano” invece ho ritrovato l’ispirazione grazie alle chiacchiere serali nelle suddette cene (l’idea di metterci degli alberi venne a Cristiano e Alberto), a mia moglie (della quale ritrovai dei pastelli a cera che usava da bambina, con cui ho colorato tutto, e che è appassionatissima di libri illustrati) e alla mia prima figlia, con la quale disegnai la copertina mettendoci lei sulla palma. Aveva 3 anni ai tempi, ora ne ha 5 e ne va assai fiera, e sostiene che la sorella, Nora, sia quella disegnata sul CD (ma non era ancora concepita ai tempi… eppure forse è lei!).
Le immagini interne, di noi che suoniamo alla Scala, nudi, mentre l’acqua allaga tutto, mi sono sovvenute come un’ispirazione fulminante quando sono stato per la prima volta, sempre due anni fa, in quel teatro, grazie peraltro alla generosità di Valeria Bodanza, figlia del celeberrimo Pippo Bodanza, prima tromba della Scala per molti anni.

D: Presenterete “Milano” dal vivo?
R: No. E purtroppo non è una provocazione. È un dato di fatto: incrociare le agende di tutti noi per le prove e i live, ma soprattutto trovare venues che ci accolgano a condizioni decenti è durissima. Paradossalmente, i brani di Milano sono stati suonati live parecchi anni prima che il disco vedesse la luce, in poche occasioni. Saremmo felici di farlo d nuovo, ma onestamente vedo la cosa come poco probabile. Magari in futuro sarà più facile. I pezzi dei due prossimi dischi in uscita sono in un caso non suonabili live per niente (hanno tutti dei cantanti ospiti), oppure fatti per essere suonati live. Sono quelli di un disco chiamato “Addio”, che speriamo veda la luce nel 2021. Per quest’anno, appunto ci concentriamo sul disco cantato, “Two Sing Too Swing” (titolo provvisorio). Io non amo molto suonare live, devo ammetterlo, ma gli altri sì, solo che ciò non basta a fare di noi una touring band, quindi anche la nostra potenziale fama ne risente molto. Credo sia il nostro limite più grosso. Mi appello al fatto che anche gente come Beatles e R.E.M. ha smesso di fare concerti da un certo punto in avanti. Certo, prima di fermarsi ne hanno calcati di pachi! La sigla Sparkle in Grey compie 20 anni quest’anno (1999-2019), magari un concertino per ricordarcelo sarebbe bello farlo, chissà…

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