Eighty Blues 2 ovvero non si esce vivi dagli anni’ 80 parte 2

Il primo post sugli anni ’80 mi ha spinto a sentire altre persone per cui la scena underground musicale anni ’80 è stata di stimolo vitale, di crescita umana.

Ecco le loro parole.

Matteo B. Bianchi a Victor Victoria 09Matteo B. Bianchi, scrittore, autore tv, blogger

All’inizio degli anni ’80 avevo 14 anni. E’ stato il decennio della mia adolescenza e dell’ingresso nell’età adulta. Il mio momento formativo per eccellenza. E’ ovvio che per me sia stato un periodo entusiasmante e carico di stimoli. Se gli anni 70 (visti da bambino) mi sono parsi cupi, pesanti e acustici, gli ’80 sono stati l’esplosione dell’elettronica, dell’estetica come espressione artistica (suonare in una band significava anche avere un’immagine complessiva, che si rifletteva nell’abbigliamento, nelle copertine dei dischi, nei videoclip), della provocazione sessuale (Boy George, i Soft Cell, i Bronsky Beat, i Frankie Goes To Hollywood….). Per un ragazzino come me, una vera rivoluzione. Ma gli ’80 ai miei occhi sono stati anche la scoperta dell’autoproduzione: le fanzine, le rock band indipendenti, le piccole etichette. Ho capito che qualcosa stava cambiando e soprattutto che era possibile partecipare (in piccolo) al cambiamento: anch’io potevo fare la mia rivista fotocopiata, distribuire demotape, organizzare un festivalino di musica. E l’ho fatto. Infine, è stato il decennio in cui si sono accorciate radicalmente le distanze tra il mondo dell’editoria e gli esordienti. L’intera parabola di PierVittorio Tondelli si è svolta in questo periodo e il suo progetto “Under 25” ha portato una scossa nell’editoria dell’epoca, cambiando le cose per sempre. E oggi, ogni volta che vedo un film o un programma di “revival” degli anni ’80, ho sempre l’impressione che celebrino le cose sbagliate.

Rockgarage quattro fanzineMarco Pandin, fanzinaro

Gli anni Ottanta sono stati per me anni di grande cambiamento. Con gli occhi di oggi, non sono stati cambiamenti improvvisi né catastrofi, tutto avveniva gradualmente, giorno dopo giorno, un piede ancora saldo nel decennio precedente e l’altro a tastare -non sempre prudentemente- il terreno davanti. Allora, però, si viveva una specie di cambio di velocità, s’era alzato intorno un vento forte e straniante, i rumori -e i silenzi- s’erano fatti più assordanti. Nel 1979 avevo inseguito Patti Smith tra le calli di Venezia, rimanendo chiuso fuori dalla porta per la sua performance alla Biennale ma entrando di straforo al suo concerto bolognese. Nel 1979 un amico mi aveva portato in regalo da Londra “Stations of the Crass”, facendomi scoprire il punk anarchico. Nel 1979 avevo seguito buona parte del tour italiano di David Bromberg, nel 1980 buona parte di quello di John Martyn. Nel 1980 ho compiuto 23 anni. Nel 1980 ho trovato un lavoro fisso dopo anni di precariato e lavoro nero. Ho smesso di suonare. Ho fumato la prima di molte canne a venire. Mi sono reso conto che le radio libere erano diventate sempre meno radio libere e sempre più emittenti private. Nel 1980 ho perso il concerto dei Clash in piazza Maggiore a Bologna perché non ce l’ho fatta a farmi cambiare turno al lavoro, ma c’ero al concerto di Bob Marley a Milano. Nel 1980 a Roma ho visto/sentito nella stessa sera Allen Ginsberg, Gregory Corso e William Burroughs: fino ad allora avevo solo potuto leggerli e guardare le foto sui giornali. Sono riuscito a sfiorare Ginsberg con la mano, per me è stato un po’ come toccare il Buddha. Nel 1980 ho comprato un sacco di dischi (ne ho anche rubati altrettanti) tra cui “London calling”, “Remain in light” e il “Greatest hits” dei Throbbing Gristle. Ho preso anche “The river” di Bruce Springsteen; qualche mese dopo ho fatto 700 chilometri per andarlo a vedere dal vivo a Lyon -più altri 700 al ritorno- per raccogliere commenti come “bravo mona” dai miei amici. Nel luglio 1981 sono andato in ferie per la prima volta: un viaggio in treno a Londra, a incontrare persone, visitare posti e guardare/toccare cose che avevo solo potuto sognare. C’era un’aria strana in città che capivo poco, un misto intraducibile di festa per l’imminente matrimonio di Carlo e Diana, punk in uniforme -colorata oppure grigio/nera-, rigurgiti naziskin e scontri con la polizia. Sono tornato con lo zaino e un paio di borse stracariche di dischi, fanzine, cassette, libri e volantini, allora roba assolutamente introvabile a Mestre e dintorni. Ispirati con ogni probabilità da quelle cose straniere, nei mesi successivi -con alcuni amici e compagni di radio e di quartiere- abbiamo pensato di fare una fanzine. Non sapevamo da che parte cominciare, ma lentamente siamo riusciti a immaginarla, organizzarla e stamparla. L’abbiamo chiamata Rockgarage, perché i magazzini e gli scantinati erano luoghi familiari e riconoscibili, erano i posti dove ci si poteva rifugiare, dove inventavamo le nostre musiche, quelle fatte da noi e per noi. Ci abbiamo buttato dentro tutto quello che ci sarebbe piaciuto leggere, per ritrovarci infine tra le mani un mucchio di cose estranee: era uno specchio che rifletteva un’immagine in cui non ci si riconosceva. Per fortuna abbiamo rimediato in fretta, già dal secondo numero Rockgarage era senz’altro più vicina alle nostre vite di tutti i giorni, che stavano smettendo di farci paura. Non eravamo punk, ma dal punk abbiamo imparato molto. Non ci spaventava affrontare la nostra mediocrità e la nostra ignoranza, e le nostre scarse possibilità economiche ci preoccupavano ancor meno: col punk stavamo imparando a bilanciare dubbi e sicurezze, i nostri difetti acquistavano una caratterizzazione positiva. Gli anni Ottanta sono stati anni in cui la musica era una cosa importante. Gli anni Ottanta sono stati aspettare la fine del mese per divorare ogni singola pagina di Rockerilla, Musica 80 e Frigidaire, come anche aspettare a tempo indeterminato il nuovo numero di Musiche. Gli anni Ottanta per me sono stati incroci di strade con Franti e Kina, Detonazione, Wops, Funkwagen, Plasticost, Frigidaire Tango, Raf Punk e cent’altri ancora. Gli anni Ottanta per me sono stati il MIMI Festival in Francia e John Zorn incontrato a New York a casa di amici comuni. Gli anni Ottanta sono stati Jaco Pastorius sorridente in una birreria a Udine che mi fa sedere al suo tavolo e Jaco Pastorius irriconoscibile che a distanza breve finisce ammazzato di botte. Gli anni Ottanta sono stati andare in giro sotto la pioggia coi Sonic Youth. Gli anni Ottanta sono stati Eugene Chadbourne che viene a dormire a casa mia ed Eugene Chadbourne che mi chiama proprio mezz’ora fa per chiedermi se può venire a dormire a casa mia dopodomani. Gli anni Ottanta sono stati io che vado a trovare i Crass a Dial House, e che ci ritorno ancora, e ancora. Negli anni Ottanta per me è iniziata una storia importante: un amore lungo e durevole e intenso che ha poi portato due figlie. Negli anni Ottanta ho cominciato a collaborare con A/Rivista Anarchica, e non ho ancora smesso. Alla fine degli anni Ottanta sono morti a distanza breve i miei genitori. Io, invece, dagli anni Ottanta sono uscito più vivo che mai: ho incontrato tanta gente e stabilito amicizie forti, molte durano tuttora. Ho imparato a rialzarmi dalle sconfitte e ad abbracciarle, a ridere in faccia alla sfortuna, a tenere la vita per il collo. Ho imparato ad ascoltare, ad osservare, a valutare il tempo. Ho imparato a guardarmi attorno a testa alta e a stringere solo certe mani.

Marco, blogger

Negli anni ’80 come adesso non e’ che ho combinato granche’, ho semplicemente fatto delle cose che mi interessavano e mi piacevano. Ho iniziato ad appassionarmi alla musica punk, per essere informato mi compravo e leggevo Rockerilla o delle fanzine, se la recensione di un gruppo era interessante scrivevo una lettera e dopo qualche settimana me lo ascoltavo. Mi interessava anche il discorso antimilitarista leggevo regolarmente Senzapatria e alla fine degli anni ’80 scelsi di fare l’obiettore di coscienza. L’idea di fare un blog, mettere in rete delle cose che mi piacciono, contattare gente che sento “vicina“, scambiarsi semplicemente un ciao sono cose che ho imparato negli anni successivi, sono cresciuto ma ogni giorno cerco qualcosa di nuovo, quello che mi fa alzare ogni mattina e che mi fa sentire vivo.

2+2=5 Spittle RecordsTrevor Finn, musicista e dj

Gli anni ottanta sono stati abbastanza fondamentali così come gli altri , ’70 ’60’50. Meglio girare pagina e proseguire Se pensiamo alla scena elettronica degli anni novanta e di quanto ha influito il primo decennio del nuovo millennio e sta influenzando pure il secondo. Certo, sicuramente Nitzer Ebb, Liaison Dangereuses, sono state bands determinanti per la scena Techno e anche Trance dei ’90 per cui un legame tra i due decenni esiste.
Dagli anni 50, la band o il lead singer erano il simbolo su cui ruotava l’universo musicale, nei novanta questi simboli (per una cerchia di generi) sono stati annullati, per cui si parla di label , la Fisckopf ha un suo stile, così la Harthouse, UR, Planet Rhythm, Metalheadz ecc. Okay okay, gli anni ottanta sono stati fantastici, ma i novanta hanno smazzulato la cult personality dei gruppi.
In più, ricordo che dopo la seconda metà degli anni ’80 girava, specialmente qui in Italia, quella sorta di psychedelia che non ho mai sopportato Per fortuna, maaaa…… mi sembra, magari mi sbaglio, gli anni ottanta vengano ricordati più per la Wave, l’EBM, l’industriale, il Punk il Goth persino l’Italo che detestavamo senza pietà, che per il garage psychedelico, ma magari sono di parte.

 

 

 

Nuovamente grazie a chi ha contribuito e per il tempo dedicato.

 

7 commenti per Eighty Blues 2 ovvero non si esce vivi dagli anni’ 80 parte 2

  • @ Allelimo No, dai fallo tu che sicuramente farai meglio! 🙂

  • GianLuca, bellissimo intervento, mi piacerebbe farti discutere con tante altre persone che sostengono la tua identica tesi, solo riferita ad anni diversi, cioè quelli in cui loro avevano più o meno vent’anni.
    Ne conosco che fanno lo stesso discorso per gli ani ’50, ’60, ’70, ’90, etc. e mi stupisco di come tutti voi non siate in grado di cogliere l’assurdità delle vostre posizioni.
    Enrico, perchè non ci fai un post? Potresti raccogliere pareri su “l’età dell’oro della musica rock”. Basta chiedere a generazioni diverse per avere risposte identiche ma riferite ad anni differenti.

  • No no, proprio il più creativo. Dciamo che il periodo più creativo si colloca a mio parere tra gli ultimi anni ’70 (dal 77 diciamo) per evolversi poi e sbocciare a colori o ancora in bianco e nero (goth/dark) soprattutto nella prima metà degli anni ’80, qualcosa anche dopo. L’esigenza di tutti i creativi di confrontarsi col mainstream determinò un collasso (oltre ai collassi per l’eroina…), molti smisero proprio, altri si adattarono malamente e…finirono lì, ancora malamente. Son stato protagonista diretto di quel periodo e posso dire che i ragazzi di oggi trovano molto più appeal nella musica di allora che in quella successiva (gli orrendi anni ’90)…il difficilissimo XXI secolo, dove nemmeno l’industria discografica esiste più. Di musica si muore oggi, pertanto perchè farla, perchè farla bene? Spendevamo tutto i nostro tempo per la musica, oggi non sarebbe più possibile per nessuno… (lasciamo stare quei 4-5 pirla italiani e i “mostri sacri” stranieri, ormai bolsi, vecchi, stanchi, ripetitivi, anacronistici.

  • @ Allelimo Magari ReAnto intendeva che ci si dava da fare autonomamente, senza troppi intermediari (DIY), si creava una propria rete di contatti, ad esempio, in questo senso “periodo più creativo”.

  • ReAnto, anche no, eh: il periodo più creativo per tutti quelli che, come noi, avevano più o meno vent’anni agli inizi degli anni ’80.
    Per tutti gli altri, basta spostare il decennio in avanti o indietro, a seconda di quando avevano vent’anni loro.

  • Il periodo più creativo, in tutti i sensi, della musica e quello che ci gira intorno..poi il buio non in senso di dark proprio buio 😉

  • La Zattera N° 33 – Che sia la volta buona? - La Zattera

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