Kailashnero – nuovo album autoprodotto

I veronesi Kailashnero hanno rilasciato da pochi giorni il loro primo omonimo album. Ho già visto due volte il gruppo dal vivo, sono davvero bravi ed intensi. A me piace molto il rock indipendente ed irruente di protesta: questo disco centra musicalmente molti temi politici e sociali degli ultimi tre anni. I testi di Svend, sono cantati in italiano. L’album è autoprodotto e registrato professionalmente, cin molta cura.

Riferimento: Kailashnero su Bandcamp.com

I Kailashnero sono:

Svend: Voce
Al Camuneros: Basso
Effe: Chitarra e Sintesi
Giribu: Chitarra e Voce
Lalo: Batteria

Parole: Svend
Musica: Kailashnero

Kailashnero Verona 16/07/2023

Kailashnero Verona 16/07/2023

I Kailashnero sono sempre più convincenti in concerto. Visti al Giarol Grande, a ridosso delle rive del fiume Adige a Verona. Sebbene il tardo pomeriggio estivo era afoso, il gruppo non si è risparmiato con il loro “rock popolare di protesta”. Il primo album autoprodotto è stato rilasciato nel durante il mese di settembre, seguirà un aggiornamento.

Riferimento: Kailashnero su Bandcamp.com

I Kailashnero sono:

Svend: Voce
Al Camuneros: Basso
Effe: Chitarra e Sintesi
Giribu: Chitarra e Voce
Lalo: Batteria

Parole: Svend
Musica: Kailashnero

Idles 13 luglio 2023 Igea Marina

Idles! Sono inglesi e suonano un punk rock molto energico. È la seconda volta che li vediamo, io e il mio amico Alb. Divertenti, ma anche impegnati nei testi: c’è una vena di protesta socio politica.

Bella il luogo del concerto: sulla spiaggia con il palco di fronte al mare.

Il gruppo che ha aperto per gli Idles, sono stati i The Murder Capital, gruppo irlandese di post punk. Non male, anche se dopo quattro brani ci hanno annoiato.

Massimo Zamboni 17 novembre 2022 Cavriago

Massimo Zamboni ha presentato il suo libro “La trionferà”, leggendone vari brani, tutti dedicati alla storia del paese di Cavrigo (RE). Fra una lettura e l’altra, Massimo e il suo gruppo di musicisti, hanno suonato la maggior parte dell’album “La mia patria attuale”.

Big Thief 23 aprile 2023 Milano

I Big Thief sono un gruppo musicale di musica folk indipendente. Nascono nel 2015 a New York capitanati dalla cantante Adrienne Lenker. Il concerto si svolto all’Alcatraz di Milano. Mi sono piaciuti molto per quel senso di umanità apparentemente semplice, che hanno trasmesso alle persone. Sono saliti sul palco, come se fossero a suonare per pochi intimi in uno scantinato, sebbene eravamo veramente tanti come pubblico.

Jean-Michel Jarre – Oxygène – 1976

Jean Michel Jarre - Oxygène 1976

Jean-Michel Jarre è un musicista e compositore francese. La sua musica è suonata con strumenti elettronici, con melodie piacevoli ed accattivanti. Oxygène è stato registrato nel 1976 presso il suo appartamento, approntando uno studio di registrazione casalingo. Jarre suonò dei sintetizzatori assieme a molti effetti elettronici.

Ascoltando Oxygène, la fantasia si snoda e fa immaginare l’elemento chimico, in tutte le reazioni, perchè l’ossigeno è uno degli elementi più presenti nell’universo. La musica scorre, si insinua, reagisce e dà l’idea della presenza dell’elemento chimico in ogni dove. Un album che tutt’ora resta carico di suggestione.

Lucinda Williams 10 gennaio 2023 Milano

Dopo la potente versione di Rockin’ in the Free World di Neil Young, Lucinda saluta il pubblico, visibilmente commossa.

Lucinda Williams 10 gennaio 2023 Milano

Radio Punk: come si intende oggi l’autogestione

Ho conosciuto il collettivo musicale di Radio Punk tramite Marco Pandin. Le persone di Radio Punk mi hanno subito incuriosito per la capacità con cui producono musica, il materiale informativo connesso dei gruppi del loro giro. Insomma una vera autogestione indipendente fuori dagli schemi, fuori dalle regole affaristiche discografiche.

Radio Punk logo

Domanda: Mi racconti come è nato Radio Punk?
Risposta: Radio Punk nasce nel 2011 dall’idea di formare una web-radio. Idea poi accantonata per far spazio alla webzine con news, recensioni, interviste e report. Nel 2016 nasce l’etichetta e distro e facciamo anche delle autoproduzioni, ora siamo molto attivi con le spillette ad esempio, che facciamo anche su commissione. Dal 2020 abbiamo rivoluzionato il sito rendendo la piattaforma libera a chiunque voglia proporci uno scritto di qualsiasi tipo, non solo sul punk. Purchè abbia a che fare col DIY e con le sottoculture. Adesso definiamo Radio Punk come un insieme di progetti, sempre in evoluzione. Attualmente i progetti sono appunto la webzine, la distro che portiamo ai concerti, l’etichetta con cui facciamo co-produzioni (siamo a circa una trentina ad oggi), il mailorder con cui gestiamo gli ordini visto che facciamo anche spedizioni di ciò che abbiamo in distro, le autoproduzioni, le playlist su Spotify molto utili per spargere il verbo tra i più giovani e altro ancora arriverà!

D: Di dove siete?
R: Siamo sparsi in giro per il globo, è una redazione “apolide”, siamo in 5 attualmente in collettivo, anche se ci piace considerare parte della ciurma anche chi scrive una sola volta, chi ci aiuta con le traduzioni, con qualche grafica e così via. Come distro invece per ovvi motivi è fisicamente in un posto, che è Bologna. Ma nessuno di noi è originario di Bologna, anzi, veniamo tutti dalle più disparate province italiane.

D: Cosa vuol dire oggi DIY (fare da sé)? Perché importante essere indipendenti?
R: DIY per noi è vita. è fare da soli, senza vincoli nè imposizioni. Ma soprattutto per noi è serietà, rispetto e vera autogestione. Fare da sè viene spessissimo confuso col fare poco e male. Per noi è cercare di fare qualsiasi cosa con amor proprio e senza sottostare a niente e nessuno. è importante essere indipendenti per il semplice fatto che “qual è il meglio per me, lo so solo io, qual è il meglio per te, lo sai solo tu” (citazione tratta da “Città Modello” dei Tear Me Down). Essere indipendenti, in sintesi è avere il totale controllo di ciò che si fa. Fare quello che si vuole, come si vuole nel rispetto di chi ti circonda è l’essenza del punk e dell’autogestione e perciò è importantissimo, senza se e senza ma.

D: Raccontami della distro?
R: Nasce per cercare di autofinanziare sito e materiale vario di Radio Punk. Vista la nostra passione per i formati fisici, ovvero dischi, cd, libri e fanzine decidiamo quindi di aprire l’etichetta con la quale far uscire dei dischi in coproduzione sostenendo le band e le idee che stanno in un disco. La distro serve appunto a distribuire le uscite dell’etichetta e non solo, infatti ad oggi abbiamo centinaia di dischi, cd, libri e spillette che portiamo col banchetto ai concerti e mercatini di autoproduzione. Portare il banchetto ai concerti è un modo per dire “ehi ci siamo anche noi!” e soprattutto per non partecipare come semplici fruitori ma essere parte attiva di quel determinato momento.

D: Come avete conosciuto Marco Pandin di stella*nera?
R: Ha conosciuto personalmente solo uno di noi, Tom, a cui lasciamo la parola. “L’ho conosciuto molti anni fa a Pordenone, al Prefabbrikato. C’era un’iniziativa sui Crass. Ricordo che feci una grafica demmerda, molto punk se vogliamo essere paraculi, la realtà è che era veramente brutta. Praticamente era fatta scrivendo a penna le informazioni (ho una grafia da gallina, ma che dico non insultiamo le galline!) su un disegno dei crass e scannerizzando il tutto. Marco Pandin disse che era bellissima e a fine iniziativa gli dissi che avevo fatto io quella merda ahahha. Mi entusiasmava moltissimo quel suo modo di parlare, riuscirebbe a rendere divertente pure la Formula 1 come dico sempre.” Anni dopo abbiamo letto il suo articolo “Cose belle…” sul vostro sito e l’abbiamo contattato chiedendogli se voleva scrivere qualcosa sul nostro sito, dato che la call è sempre aperta a tutti. Ci ha risposto entusiasta e poi sempre Tom l’ha rivisto ad un concerto e da lì ogni volta che viene a Bologna ci si vede e si beve un bianco o un amaro insieme!

D: Ha ancora senso oggi essere “punk”?
R: Domanda che necessiterebbe di ore e ore di chiacchierata. E
speriamo che ciò accada presto. Detto ciò rispondiamo brevemente dicendo che non avendo vissuto in prima persona la nascita e la golden age del punk, per noi ha senso quello che per noi rappresenta il punk, ma che per qualcun altro potrebbe non essere così e amen. Ha senso per noi quindi l’essere dalla parte degli ultimi, dei disadattati, degli emarginati, degli esclusi. Stiamo bene nella nostra nicchia di libertà, autogestione, solidarietà e condivisione senza patria e padroni, dove non girano soldi a palate e manager sanguisughe. Dove non esiste il concetto borghese di “normalità” e dove non c’è spazio alcuno per il fascismo, il razzismo, il sessismo, il machismo, il militarismo e la prevaricazione in generale. Questo siamo noi, questo ci piace, questo ha senso per noi. Ci sono molte persone che per punk intendono pogo violento e forsennato, ascoltare un diverso tipo di musica e basta, farsi la cresta, mettere un chiodo, sognare di essere headliner ad un fest e diventare famosi. Beh in questo caso, se è questo il punk, speriamo fortemente che muoia il prima possibile!

Per ascoltare, restare aggiornati, leggere, spulciare il catalogo, si può andare sul sito web di Radio Punk.

Fanzine Tribal Cabaret n. 07

Fanzine Tribal Cabaret N. 07

Tribal Cabaret era una fanzine romana, dedicata alla musica post-punk e dark. Molto curata perché ci trovavi interviste ed articoli su gruppi stranieri ed italiani. Graficamente era identificabile, con certo gusto “dark”. Su Tribal Cabaret c’era allegata una compilation su nastro con gruppi italiani e non, spesso con brani inediti.
La bella notizia è che da poco è uscito il numero 07. Ho scritto ai due curatori Daniela Giombini e Dario Calfapietra per riceverla e fargli qualche domanda.

Tribal Cabaret N. 07 Dario Calfapietra Daniela Giombini

Domanda: Perché avete deciso di ricominciare a far uscire Tribal Cabaret?
Risposta: Quando ci siamo conosciuti scrivevamo entrambi per dei magazine musicali online e ci è venuto naturale iniziare a scrivere insieme, facendo interviste e recensendo concerti. Dagli archivi di Daniela sono poi uscite delle interviste e dei questionari fatti negli anni ’80 e mai pubblicati prima, persi com’erano in un limbo tra Tribal Cabaret e la sua collaborazione con Rockerilla. E’ stato in quel momento che abbiamo fantasticato su come sarebbe stato affascinante, ma anche anacronistico far uscire oggi quegli articoli inediti su una fanzine. L’idea di fare una fanzine pubblicata in maniera indipendente, però era talmente entusiasmante che ci siamo convinti a provarci, anche per dimostrare che c’è ancora oggi chi ha voglia di leggere di musica su carta stampata.

D: Il numero 07 com’è strutturato?
R: Per rimanere in sintonia col passato di Tribal Cabaret, abbiamo deciso di allegare al N.7 una compilation in cassetta intitolata An Ordinary Life of Lies and Bites col relativo booklet. La conferma che ci stavamo muovendo nella direzione giusta ci è venuta quando la Spittle Records di Firenze ha contattato Daniela per stampare su vinile The Other Side of Futurism, la compilation originariamente allegata al N.5 di Tribal Cabaret del 1984, allegandoci la ristampa di quel numero della fanzine.

D: Come avete scelto i gruppi che hanno partecipato ad “An Ordinary Life of Lies and Bites”?
R: Abbiamo contattato personalmente uno ad uno tutti quei gruppi, che in qualche modo già conoscevamo e che apprezzavamo spesso chiedendo un brano specifico che ci piaceva da inserire nella compilation. Siamo molto soddisfatti del risultato finale.

D: Siete ancora in contatto con i “vecchi” collaboratori? 
R: Certo, è rimasta l’amicizia e la reciproca stima. Abbiamo messo volentieri infatti un ringraziamento a Romano Pasquini e Rita Mandolini nella seconda di copertina. Romano è un musicista, mentre Rita è un artista.

D: Come è cambiato il modo di fare una fanzine rispetto agli anni’80?
R: Sicuramente il mondo intorno è cambiato e parecchio però è rimasta immutata la voglia di esprimere se stessi parlando liberamente della musica che più ci piace. Quindi a distanza di tanti anni gli ingredienti sono rimasti gli stessi: la passione, la curiosità, la cura per l’estetica a cui si é aggiunta una buona dose di esperienza che aiuta a fare le cose meglio. 

D: Lo stile grafico mi sembra mantenuto con impianti grafici attuali, forse è più facile ora far uscire una fanzine? 
R: Per noi era prioritario mantenere uno stile grafico come quello del passato che rispecchiasse l’estetica anni ’80 di Tribal Cabaret. Anche se oggi la grafica viene fatta al computer e non con colla, trasferibili, taglierino e macchina da scrivere, c’è voluto comunque parecchio tempo e tanto impegno per realizzare il nuovo numero della fanzine. Il risultato ci soddisfa in pieno e tutti i numerosi feedback che ci stanno arrivando ci confermano di aver fatto un buon lavoro.

D: Il modo di Tribal Cabaret di proporre gli articoli e le interviste è sempre stato personale e con una forte identità, vero? 
R: Beh, questo non dovremmo essere noi a dirlo. Sicuramente ora come allora c’è sempre stata una ricerca per intervistare gli artisti che ci piacciono e che stimiamo senza scendere a compromessi.

D: Se ne esce vivi dagli anni ’80? 
R: A distanza di tempo crediamo sia evidente il peso creativo e l’importanza che hanno avuto quegli anni. C’era un circuito indipendente composto da etichette, radio, piccole agenzie di booking, autoproduzioni e fanzine, a cui si aggiungevano i negozi di dischi di importazione, che sosteneva la scena underground.

D: Tribal Cabaret è stata riavviata con il vostro sodalizio collaborativo (Daniela & Dario)? 
R: Negli ultimi anni Daniela aveva già fatto qualche tentativo per far ripartire la fanzine ma poi non se ne era mai fatto nulla. Dario è stata la persona che ha portato la giusta determinazione per riprendere questa avventura. 

D: Ci sarà un seguito ? Ovvero un numero 08?
R: Certo, ci stiamo già lavorando e prevediamo di pubblicarlo in Primavera. Ci fa davvero piacere che la schiera dei collaboratori si è raddoppiata dato che diversi amici giornalisti si sono uniti volentieri alla famiglia di Tribal Cabaret.

D: Sono curioso, molto a dirla tutta. Una piccola anticipazione, per favore? 
R: Il nuovo numero avrà in allegato un’altra compilation di gruppi selezionati da noi ed in più ci sarà un mini CD di una band italiana. Dagli archivi di Daniela è uscita fuori un’altra intervista inedita fatta alla fine degli anni ’80 e mai pubblicata che farà parte del nuovo numero. Abbiamo intervistato poi il cantante di una band di Seattle, un’artista sperimentale italiana ed il frontman di un gruppo australiano. I nostri collaboratori stanno contribuendo con racconti, recensioni ed interviste, chi ad un sostenitore delle sottoculture e della scena indipendente e chi ad un musicista di una nota band americana del passato. Può bastare come anticipazione?
… direi proprio di sì!

I brani allegati a Tribal Cabaret N. 07 sono di ZAC, Dish, Not Moving L T D , Alex Dissuader, Svetlanas, Madonnatron, Kent Steedman, Plutonium Baby, Porcelain Raft, Marcello Fraioli, La Grazia Obliqua, Sonic Jesus.

Per ricevere il N. 07 di Tribal Cabaret con la cassetta allegata (Dic. 2022, 15€) e/o il N. 05 ristampato insieme al disco “The Other side of Futurism” in vinile basta scrivere a: tribalcabaretfanzine@gmail.com.

Tom Verlaine di Marco Pandin

Television - Marquee Moon

Quando ho preso “Marquee moon” avevo vent’anni. Dei Television era arrivato non so come in radio un settepollici senza copertina e con mezza canzone per facciata che grande parte dei miei compagni di trasmissioni riteneva inutile e banale preferendole certo rock-con-le-palle, i cantautori da raduno o le ultime briciole del prog. Siccome a me quel disco piaceva ma pareva lo schifassero tutti un giorno gliel’ho fregato, tanto quando lo ascoltavo a casa mica mi interessava ci fosse il timbro della radio sull’etichetta. Mi piaceva questo chitarrista misterioso (“Little Johnny Jewel” era arrivato senza copertina quindi senza foto né altre indicazioni utili, le uniche informazioni oltre al nome del gruppo erano un “Part one” e un “Part two” e un “Verlaine” scritto fra parentesi) che intesseva nella seconda parte della canzone come una tela di ragno esile sì ma vischiosa al punto che ci rimanevo intrappolato dentro ogni volta. Penso: quel Verlaine dev’essere senz’altro il Tom Verlaine che suona dentro a ”Horses” di Patti Smith. Sì dai, è lui. Un giorno in campo san Barnaba mettono in vetrina un disco dei Television: copertina nera, sopra c’è una fotografia di quattro messi male che mi guardano fissi, e uno di questi sembra mi voglia offrire qualche cosa – non so se un plettro, una moneta, una lametta, un mozzicone di canna. Il tipo del negozio mi spiega che “è musica punk tipo Patti Smith” (avevo già preso da lui “Radio Ethiopia” e “Horses”) e in cambio di “Marquee moon” gli do tutti i soldi che ho in tasca. Arrivo a piazzale Roma e salto sul primo autobus verso casa. Durante il viaggio mi giro e rigiro tra le mani la copertina del disco e vado avanti a fantasticare, quando arrivo a casa lo metto sul giradischi e tempo otto canzoni capisco meglio tutte quelle cose quelle facce quei discorsi e gli altri suoni che stavano intorno a “Little Johnny Jewel”. Quante volte ho ascoltato quel disco. Poi sono arrivati “Adventure”, poi il primo album solo di Tom Verlaine e nel tempo via via anche gli altri. Salto temporale di 45 anni. Vengo a sapere via whatsapp da qualcuno l’altro giorno che Tom Verlaine è morto. Ero su un treno verso Trieste mentre stavo andando al Germinal a ricordare Claudio Venza, un caro vecchio amico e compagno anarchico mancato da poco. Le due cose mi si sono mescolate in maniera strana dentro in testa. Claudio è stato uno dei miei cattivi maestri: l’ho incontrato alla libreria Utopia2 quando andavo a Cà Foscari, abbiamo cominciato a parlare e mi piaceva proprio parlargli e sentirlo parlare. Ero al mio primo anno d’università e stavo muovendo i miei primi passi dentro l’anarchia, lui deve avermi raccontato cose della guerra di Spagna – qualche anno prima mi ero ritrovato preso in mezzo a uno spettacolo di teatro povero allestito da Claudia Vio costruito tutto su quelle vicende, io ero solo un povero sbarbo ignorante con una chitarra a tracolla che la regista aveva amorevolmente cercato di sensibilizzare e informare. Poi Claudio l’ho incontrato per decenni alle riunioni della redazione di A/Rivista Anarchica, e per videoconferenza anche a ridosso della chiusura del giornale – una chiusura drammatica, improvvisa e dolorosa. A suo modo, anche se non l’ho mai incontrato né visto/sentito dal vivo, anche Tom “Verlaine” Miller è stato, se non proprio un cattivo maestro, certamente una cattiva compagnia.

Un cattivo compagno “punk come Patti Smith” che mi ha indicato, mostrato e accompagnato per certe strade sonore tutte sue facendo sì che fossero anche un po’ mie. Mi sono ritrovato dentro a certe sue canzoni come ci si ritrova dentro a certe poesie, con le parole che riverberano e cambiano colore mentre le osservi, e cambiano spessore, forma e luminosità. Proprio come quando un libro che ami lo leggi a vent’anni e poi lo rileggi a trenta o cinquanta sessant’anni trovandoci dentro storie differenti, così anche quando a vent’anni ascolti certe musiche che ami e poi le riascolti nel tempo, a trenta cinquanta sessant’anni dentro in testa ti suonano differenti, ci trovi dentro emozioni nuove, e particolari, e sorprese – quando non fontane di ricordi. Pensate che dopo tutti questi anni ogni tanto mi piace andare a perdermici ancora
dentro a “Little Johnny Jewel”, dentro a quella vecchia canzone inutile e banale, spezzata in due e senza copertina.
di Marco Pandin