Lalli Stefano Risso – Qui

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Lalli (cantautrice solista e fondatrice dei Franti) assieme al contrabassista Stefano Risso hanno scritto un bellissimo album fra musica d’autore e jazz intimista. La voce calda di Lalli canta e recita fra suoni essenziali che avvolgono l’ascoltatore. In questo disco Lalli e Stefano scelgono di raccontare le storie dentro le canzoni, facendo emergere un piccolo universo intimo ed articolato.

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Per ricevere “Qui” di Lalli e Stefano Risso, potete rivolgervi a:
stella*nera oppure a Silentes

Cose belle del 2023 di Marco Pandin

Anche quest’anno Marco Pandin mi ha scritto le 13 cose belle del 2023. E’ sempre un bel regalo questo appuntamento con Marco, giunto al terzo anno. Buona lettura, visione ed ascolto! Le cose belle degli anni precedenti sono qui: 2022 e 2021.

Tredici cose belle del 2023 partendo da zero, in ordine di accadimento. Perché tredici è indipendenza e creatività. Tredici è la rivolta di Lucifero.

0- L’album di debutto di Djim Radé (nome vero Djimradé Kamndoh), cantante e chitarrista del Ciad, uscito a gennaio. Dire che è bellissimo è praticamente come dire niente, sembra quasi di fargli un torto. Non so se nelle nostre lingue euroccidentali ci siano parole adatte a descrivere forme di vita sonora simili, così luminose pulsanti radianti vibranti da sembrare provenienti da un altro universo. Le canzoni non procedono lineari ma imprevedibili come salti quantici, ciascuna con l’anima in spalle: un carico pesante di felicità, oppure è malinconia, o un dolore enorme. Chissà che nessuno faccia sapere di questo disco a Brian Eno, sennò l’anno prossimo avremo uno Djim Radé in versione plastificata e disinnescata ad aprire per i Coldplay o per gli U2 – e per noi sarà come perdere un bosco, o un ghiacciaio.

1- “Trieste è bella di notte”, il docufilm di Andrea Segre, Matteo Calore e Stefano Collizzoli uscito verso fine gennaio e realizzato con il sostegno, tra gli altri, di Banca Etica, Amnesty International e Medici senza Frontiere [qui https://www.youtube.com/watch?v=bysxnO4XF9g il trailer]. Sembra una storia artificiale, e un po’ lo speri. E invece no. Mentre guardi ti si muove qualcosa dentro in testa e ti ritrovi a pensare: non può essere in Italia, queste cose da noi non succedono. E invece sì. Il ministero dell’interno definisce queste operazioni “riammissioni informali” e le ha introdotte nel maggio 2020. A gennaio 2021 il tribunale di Roma le ha dichiarate illegali e sono state sospese fino al 28 novembre 2022, quando il ministro Matteo Piantedosi le ha riattivate. La storia è grosso modo: alcuni migranti afghani e pakistani della rotta balcanica riescono ad attraversare la frontiera italiana ma a Trieste vengono intercettati e bloccati dalla polizia e subito respinti, senza che gli sia data alcuna possibilità di fare richiesta di asilo. I nostri li spintonano indietro in Slovenia, dove i colleghi li prendono in consegna e li accompagnano premurosamente in Croazia, lasciandoli tra le mani di sbirri che li derubano di tutto soldi vestiti telefonino e dignità, li pestano facendo particolare attenzione a rovinargli le gambe, poi li mollano di notte da qualche parte in Bosnia dietro ai reticolati. Qualcosa da mangiare se hanno fortuna la raccattano stando attenti alle mine seminate negli orti abbandonati, sennò cazzi loro – parlano tutt’altre lingue e fanno fatica a spiegarsi ma tanto non c’è nessuno che li ascolti. Con la Carta dei diritti umani i governanti – i nostri, i loro – ci si puliscono il culo.

2- Il libro “I gabbiani vengono tutti da Brooklyn” scritto da Ettore Castagna, uscito ad aprile. L’anarchico Giuseppe Zangara, emigrato in America da un piccolo paese della Calabria, nel febbraio 1933 si procurò una rivoltella e sparò cinque colpi contro Franklin Delano Roosevelt, simbolo del capitalismo che crea la sofferenza del mondo – li meditava da una vita. Non riuscì a farlo fuori: il presidente se la cavò con un po’ di spavento, ci furono due feriti leggeri e due in maniera più seria tra il pubblico. A uno di questi durante le cure in ospedale si infettò la ferita e sopravvenne la morte per setticemia, così che Zangara si ritrovò colpevole di omicidio: dopo un processo veloce finì arrostito sulla sedia elettrica. Aveva trentatre anni. Strappato prestissimo dal banco di scuola e cresciuto a cinghiate e bastonate, era basso di statura, scuro di carnagione e minuto di corporatura. Giuseppe si incazzò col giudice perché al processo storpiava il suo nome, e durante l’esecuzione incitò il boia a fare in fretta. Alle guardie in carcere disse che avrebbe voluto una fotografia: Ettore Castagna gliene ha scattata una di duecentocinquanta pagine, ritratto in piedi di un ragazzo cresciuto troppo in fretta che, come Franti, non abbassa lo sguardo e ride quando il re muore.

3- Padova, primi di maggio. L’ultraottantenne Ferruccio Brugnaro che all’uscita del cinema intrattiene amabilmente quelle pochissime fortunate persone che hanno assistito alla proiezione di “The beat bomb”, il docufilm di Ferdinando Vicentini Orgnani incentrato su Lawrence Ferlinghetti e Jack Hirschman, entrambi scomparsi nel 2021 [qui https://www.youtube.com/watch?v=4MjqHsNXgoE il trailer]. Il film in sé è un’occasione sprecata: poteva essere una di quelle celebrazioni così gonfie di pittoreschi talenti attempati e di contestatori eccentrici adatta a essere trasmessa, rigorosamente a notte fonda e solo una volta, su quello che resta di Rai3. E invece è una veglia dolcissima ricamata dal suono di Paolo Fresu che di funebre e di lacrimoso non ha davvero niente e che anzi è gioia, è stupore e speranza, è incanto come può esserlo un ritaglio d’erba risparmiato dal cemento e dall’asfalto rimasto testardamente a sfidare il grigio stretto fra i palazzoni. Brugnaro dei visionari beat è stato collega amico e compagno, anche lui è un gigante irriducibile quando si parla di pace, di condivisione disarmo e solidarietà: la sua voce non vacilla, le sue braccia affettuose fanno il giro della Terra. Mio padre, io ancora un ragazzino, portava a casa ogni tanto dei volantini ciclostilati che l’operaio poeta distribuiva davanti ai cancelli delle fabbriche di Marghera. Ciascuno di quei pezzi di carta esortava a riflettere, a ragionare, ad amare: erano un invito a partecipare a una rivoluzione difficile, distribuito a gente che non sapeva leggere o leggeva a malapena.

4- Filippo Gambetta che suona suona suona in una piccola sala nella Saccisica, nordest profondo, fine maggio. Mi piace come costruisce in diretta la setlist, svolazzando tra un’alessandrina e un valzer popolare che appagano i più rigorosi (quelli che di ogni danza stanno molto attenti alla storia, ai significati e ai dettagli di ogni singolo passo e movimento) e una bourrée a due tempi che accende il cuore a qualche giovanissima coppia che quando può frequenta le mazurke clandestine del bal folk. E’ come se ad ogni concerto Filippo portasse con sé un sacco stracolmo di pepite d’oro puro provenienti da ovunque: le riversa sul palco disordinatamente, ci spolvera sopra un pizzico dolce d’Irlanda o ci infila in mezzo un ritornello di Renato Carosone e una strofa di Modugno, una scheggia di lambada, quando non addirittura una partitura azzardata di Wolmer Beltrami. Dai, Filippo, fanne un’altra. E un’altra ancora. Perché poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca. Per tutta la vita.

5- Lo Speakers’ Corner Quartet, che dopo tanti anni di attività on the road pubblica l’album di debutto “Further out than the edge” a giugno. Se i Franti fossero un gruppo di oggi immagino suonerebbero press’a poco così, attenti com’erano a inventare per noi quelle loro canzoni così storte ricche di suggestioni future e tracce evidenti del passato. Quello che fa l’SCQ non è jazz anche se gli somiglia parecchio, come non è hip hop non è rock non è popular non è ambient non è folk ma è tutto questo insieme ed è anche di più: un mondo intero di impressioni, ritagli, mescolanze, sapori strani, incroci, contaminazioni, profezie e avvistamenti lontani. Il gruppo è tutto preso a intrecciare un tappeto volante diverso sotto a ogni lettore/interprete/cantante ospite, tutte voci che vanno controcorrente da Kae Tempest a James Massiah a Sampah, in un pezzo il fiato benedetto di Shabaka Hutchings. Una felicità contagiosa e primaverile.

6- Marino Severini dei Gang che a giugno pubblica “Quel giorno dio era malato”. Ho respirato attraverso ogni singola pagina, e le ho accarezzate tutte. Mi è venuto spesso da ridere e da incazzarmi, e qualche volta sono diventato triste. Un paio di volte mi sono girati i coglioni e l’ho lasciato là, ma poi non riuscivo a stargli lontano. Nel libro c’è lui, la sua voce, i suoi santi, il suo mondo, la sua testa, le sue prediche, il suo modo di muovere le mani e di agitarsi, ma leggendo ho scoperto che dentro ci sono anch’io e c’è buona parte della canzone che anch’io ho cantato in tutti questi anni.

7- L’album “My back was a bridge for you to cross” di Antony/Anohni and the Johnsons uscito a luglio. Sembra una raccolta di certi quarantacinquegiri oscuri così incomprensibili, assurdi e terribilmente fuori posto da noi negli anni Sessanta e Settanta quando eravamo tutti all’oratorio e poi a strappare il porfido dalla strada e le zolle di terra dagli stadi, figuriamoci dopo – tutti occupati chi col punk chi coi Duranduran chi con l’eroina chi con le P38. Così esplicitamente stracarico di tenerezza, di affetto, così stracarico d’amore e di dopo l’amore. E di carezze, di intimità e sussurri, di leccate all’improvviso e risate, di baci, di voli alti, di immersioni e immensità, del toccarsi e dello stringersi vicini dopo ad ascoltarsi i respiri, di quell’aria tepida che esce dalle sue narici così vicine al tuo viso. Libertà è restare vicini, a dirsi piano cose che nessuno senta. Libertà è contare i battiti del cuore con la punta delle dita. Ma le canzoni (come la libertà) durano poco, bisogna correre a rimettere il disco daccapo (e a difenderla, ogni libertà conquistata, senza mai stancarsi). E ancora. E ancora.

8- Fine agosto. Sante Cutecchia e Francesco Massaro ad Urupia, in Salento, che suonano e raccontano con Mariagrazia Fiore una di quelle storie disperate ma così piccole piccole che non finiscono nei giornali né dentro le televisioni. E’ la storia di Dana e alcune altre ragazze slovene vittime dei rastrellamenti dei fascisti italiani e delle rappresaglie dei nazisti che, deportate nel 1942 dapprima a Venezia poi a Trani, riescono a resistere. Qualcuna riesce anche a ritornare a casa, e a raccontare. Trovo che la “Bella ciao” più bella sia quella delle mondine mescolata a quella dei partigiani cantata dal gruppo raccolto intorno a Riccardo Tesi qualche anno fa per la riproposizione dello spettacolo omonimo. A pari merito c’è quella offerta da Goran Bregovic e dalla sua Wedding and Funeral Orchestra, che mi ha davvero commosso. E c’è quella che ho sentito suonare dal vivo da Marc Ribot (nella versione presente nell’album “Songs of resistance” c’è la voce scartavetrante di Tom Waits). E c’è anche questa versione di Sante e Francesco, così sanguinante e oscura – ne sono rimasto profondamente toccato.

9- Uno che si fa chiamare Capitano Merletti e che di militare o di militaresco non ha proprio niente – una chitarra al posto del fucile, capelli lunghi, barba, braccialetti, sorrisi, tanti colori addosso. L’ho sentito cantare e suonare, assieme a un violinista assai bravo, al Mismash a Pordenone a inizio settembre. All’inizio temevo fosse una cosettina hippy fumogena tipica da campagna veneta rassegnata & sottomessa, e invece il capitano si rivela presto un campione di Razza Piave deviata, un degnissimo rappresentante di quella schiuma sociale intelligente così detestata dagli sceriffi e da certi sindaci neroverdi che eleggono da queste parti. Una di quelle preziosità che la nostra provincia tiene ben nascoste in serbo per sé – come una volta Plasticost, Frigidaire Tango, Detonazione, Degada Saf, Dimitri Golowaskin, Qfwfq, Wax Heroes, Endless Nostalgia, Death in Venice, Inzirli, Funkwagen tutti diamanti nordestini impossibili da addomesticare nel gregge della “nuova musica italiana” ufficiale e finiti col rusco o su ebay, che praticamente è uguale. Per ciascuna canzone del capitano si potrebbe trovare una rassomiglianza con qualche cosa di bello/bellissimo/bellissimissimo andato a depositarsi nel fondo dei ricordi. A fine concerto una versione da brivido di “The thoughts of Mary Jane” di Nick Drake con l’autore che dalla sua nuvola guarda giù, sorride e approva.

10- Paolo Cognetti che in coda a “Giù nella valle” (il suo quarto staordinario ottomila in pochi anni, uscito a ottobre) mi prende da parte e mi spiega perché “Nebraska” è così importante per me e perché ho continuato a comprare i dischi di Bruce Springsteen in tutti questi anni.

11- Sono in giro in Lombardia ai primi di novembre a proiettare il docufilm dei Kina e a raccontare qualche scheggia delle mie storie. Arrivo una sera al centrosociale Pacì Paciana di Bergamo e a un certo punto mi accorgo che i miei vicini di banchetto parlano una lingua che confina con la mia: sono padovani e mi mostrano un paio di dischi prodotti da loro. Ho solo un’idea vaga di che cosa ci possa essere dentro i solchi, ma trovo che quelle copertine siano realizzazioni grafiche davvero notevoli e decido di prenderli seguendo l’istinto. D’altra parte, tanti anni fa avevo comprato “Unknown pleasures” solo perché la copertina mi aveva incuriosito ed attratto come una stella cometa, allora i Joy Division mica li conosceva nessuno. Concerto collettivo stasera – i primi fanno un po’ sorridere, così giovani. I secondi in lista sono loro. Dagli qualche secondo di silenzio per concentrarsi e staccare la spina dal resto del mondo, e senza preallarme scoppia un’eruzione e mi ritrovo nel magma fino alle ginocchia. Tutto intorno è nero, e questo è il suono di tutto il nero che ci circonda oggi. Nero che chiama guerra, pioggia battente e grandine, che chiama deserto e febbre e sete, e ghiaccio, e pestilenza. Il nero dei pensieri che sbattono addosso alle pareti della testa cercando un’uscita, il nero delle porte sbarrate che ci tengono lontani da un qualche oggi da provare a costruirci intorno e un qualche domani da poter sognare. Musica ben immaginata e altrettanto bene eseguita che mi incendia l’anima – un misto di amarezza, consapevolezza, determinazione, radicalità e quella luce fioca là in fondo. Si chiamano Wojtek e la loro musica mi è saltata addosso e non mi molla. Il più bel concerto di quest’anno.

12- Tutta da guardare scavare toccare assaggiare, ciascuna pagina una boccata d’aria fresca e pulita. E’ uscito a novembre il numero 5 di Respiro, rivista di grafica, disegni e ragionamenti completamente autoprodotta e autogestita. I vari contributi sono volontari e non retribuiti, quanto raccolto va ad alimentare la cassa antirepressione delle Alpi Occidentali – aiutano cioè alcune ragazze e ragazzi che si trovano chiusi in galera perché hanno provato a ragionare con la propria testa, e che hanno bisogno di respirare come e quanto noi che per ora siamo ancora fuori. Respiro è quello che manca perché l’aria è avvelenata, perché un poliziotto ci schiaccia a terra incrinandoci le costole, o a schiacciarci a terra è il silenzio obbligatorio che viene imposto a chi non si rassegna ad ubbidire alla voce e al manganello del padrone.

13- Il meraviglioso videoclip di Carlo Cagnasso per “Le colline di fronte” di Lalli e Stefano Risso, uscito a dicembre e visibile seguendo il link https://www.youtube.com/watch?v=24e5nNz064A. Evito di proseguire perché da qui in poi saprei scrivere solo parole seguite da punti esclamativi, e potrebbe sembrare un’autopromozione eccessiva.

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Lalli e Stefano Risso – Qui

La mia non classifica musicale del 2023

La mia non classifica musicale del 2023

Sarà che il tempo libero è sempre poco e vari eventi personali hanno richiesto priorità e precedenza. Poche parole quest’anno, ma buoni ascolti.

  • Arabia Saudade – Estudando a América do Sul
  • Gina Birch – I play my bass very loud
  • Blonde Redhead – Sit down for dinner
  • Vinicio Capossela – Tredici canzoni urgenti
  • PJ Harvey – I inside the old year dying
  • Lalli e Stefano Risso – Qui
  • Lol x Budgie x Jacknife Lee – Los Angeles
  • Public Image Ltd – End of world

La mia non classifica musicale annuale degli anni scorsi è qui.

Intervista ai curatori di Vennero in sella due gendarmi

Vennero in sella due gendarmi è una raccolta di scritti e musica curata per aiutare il fondo di difesa Genova Antifascista. I curatori sono Marco Pandin e Marco Sommariva, così ho pensato di sentire da loro come sta andando la situazione per supportare il fondo di difesa genovese.

Come sta proseguendo l’iniziativa?

Marco Sommariva: Alla grande: da sabato scorso 6 febbraio la prima tiratura è da considerarsi esaurita, e questo significa che è andata via in sole tre settimane. A giorni partirà la ristampa.
Marco Pandin: Vero, questa velocità di diffusione mi sorprende e mi rende felice. Ma la soddisfazione più grande è stata il rendersi conto della grande voglia di partecipare, di essere e di esserci, del desiderio di contribuire come possibile. Marco ed io abbiamo costruito questa rete di contatti senza avere un disegno o una strategia, sono bastati cinque-dieci minuti al telefono quindi neanche il tempo tecnico per metterci d’accordo. Abbiamo chiesto, fatto girare la voce. E non ne farei neanche una questione di comune orientamento politico, tanto siamo diversi – tutti. Penso che sia stato compreso a fondo il nostro spirito più autentico, la nostra voglia di fare qualcosa. Ho già curato altre raccolte nel passato, penso che sia la prima volta che nessuno tra i partecipanti mi abbia chiesto una qualche lista delle adesioni già pervenute – e questo trovo la dica lunga sull’atteggiamento di come ciascuno ha messo a disposizione la propria creatività senza chiedere niente in cambio.

Qual’è la tiratura di Vennero due gendarmi … ?

M. S.: 600 copie la prima tiratura, e di altre 600 sarà la seconda.

Avete agito su espressioni artistiche diverse: il disegno, la musica e la scrittura.

M. S.: Ogni forma d’arte può veicolare il messaggio antifascista, così come ognuno di noi può combattere quotidianamente ogni forma di fascismo, e se per caso avessimo difficoltà a identificare questo cancro che a volte s’insedia anche in famiglia, forse può aiutare ricordare cosa scrisse Pasolini nel ’74: “Se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la “società dei consumi” ha bene realizzato il fascismo”. E aggiungo che quello di combattere personalmente il fascismo, ogni giorno e in ogni luogo, è uno sforzo che dobbiamo fare perché, come scriveva Orwell, “Se sostenete che il fascismo è soltanto un’aberrazione che in breve tempo si esaurirà da sola, vi cullate in un sogno dal quale vi desterete nel momento in cui qualcuno vi darà una manganellata sulla testa”.
M. P.: Quando avevo vent’anni ho letto un volantino dei Crass dove c’era scritto press’a poco “La nostra arma più potente è la creatività”. Ero un fanzinaro, del genere non so cosa fare e come fare, ma lo faccio comunque. Col mio giro di amici di allora amavamo ascoltare musica, suonare, disegnare, scrivere, sognare – tutti pretesti per incontrare, conoscere, imparare, scambiare, confrontarsi, crescere. Ecco, quella frase mi ha colpito, ispirato ed accompagnato, ed ho cercato di farla mia anche nelle mie storie di tutti i giorni. Se ne ho ricavato un insegnamento? Direi che pensarla così è stato fondamentale per riuscire a sopravvivere nel posto di lavoro, per impostare la vita in casa e l’educazione dei figli. Per costruire una mentalità che sia condivisione, oltre che perenne capacità di meravigliarsi.

Come è stata accolta dai genovesi la raccolta per il fondo di difesa Genova Antifascista?

M. S.: Benissimo. Tutte le realtà antifasciste genovesi hanno acquistato numerose copie e, ne avessimo ancora a disposizione, ne acquisterebbero altre: abbiamo consegnato pacchi contenenti sino a 40 confezioni. Grande attenzione ci è stata dedicata anche dalle altre province liguri: Savona, Imperia e La Spezia. Ma l’iniziativa sta andando forte anche fuori dai confini regionali: tutta l’Italia s’è mossa, dal Friuli alla Calabria, dalla Sicilia al Piemonte, passando per la Sardegna.

Alla luce di quanto mi avete raccontato, come sarà il futuro?

M. S.: Dopo l’evoluzione della repressione che è passata dal “solo” picchiare coi manganelli al picchiare coi manganelli e sulle tasche degli antifascisti, ho l’impressione che il Sistema dovrà ulteriormente cambiare tattica per provare a mettere in ginocchio l’antifascismo, visto che – militanti e non – non ci hanno pensato su due volte a metter mano al portafogli per riempire la cassa che occorrerà a coprire le spese legali dei 56 denunciati per gli scontri di Piazza Corvetto, del maggio 2019. Per noi antifascisti il futuro è roseo, e non può essere diversamente dopo i “muscoli intellettuali” mostrati con questo doppio cd; lo vedo nero, invece, per chi sta dall’altra parte. Siamo tanti, uniti, preparati, e combattiamo su più livelli: noi abbiamo un futuro, questo è certo.
M. P.: Sorrido nel sentire Marco che parla così: parla come un disco di Franti, io tenderei a essere più introspettivo e pensoso come un disco dei Kina. Entrambi facevano però fiorire in cuore delle belle speranze, e non c’era bisogno di trucchi e travestimenti o slogan urlati dal palco. Miravano al cuore della gente, e hanno fatto centro. Quando ero ragazzo era stato creato questo mito del “non futuro” – coi Sex Pistols lo cantava buona parte del punk, e dopo gli anni di piombo e nel bel mezzo degli anni di televisione obbligatoria io lo trovavo opprimente e insostenibile. Il futuro c’era eccome, solo che bisognava farsi il culo per costruirlo. Una cosa che ho imparato in questi anni è che il “non futuro” era una trovata pubblicitaria per derubarci degli spiccioli e della speranza. Forse ho fatto bene allora ad ascoltare il cuore.

Si può richiedere la raccolta in 2CD, con offerta libera e responsabile a: Genova Antifascista

Si ascoltare l’intervista a Marco Sommariva per Genova Antifascista a cura di Gianluca Polverari su: Radio Città Aperta Podcast.

Contributi scritti di:

Erri de Luca, Giansandro Merli, Franco Arminio, Maurizio Maggiani, Fabio Geda, Paolo Cognetti, Haidi Gaggio Giuliani, Max Mauro, Alessandro Spinazzi, Carmine Mangone, Stefano Giaccone, Marco Sommariva

Contributi grafici di:

Zerocalcare, Gaia Cocchi, Fabio Santin, Chiara Sestili, Elia Fortunato, Federico Zenoni, Stefano Sommariva, Shinbross [Giulio Sciaccaluga], NicoComix

Le canzoni del doppio CD “Vennero in sella due gendarmi, vennero in sella con le armi”:
  1. Giorgio Canali – Genova per noi
  2. Andrea Sigona – La ballata dell’innocenza
  3. Yo Yo Mundi con Marco Rovelli – Anarcobaleno
  4. Ascanio Celestini – La camminata del moribondo
  5. Mars on Pluto – La violenza
  6. L’Estorio Drolo – La chansoun de Nadu
  7. Alessio Lega – Matteotti
  8. Banda POPolare dell’Emilia Rossa – Non mi scorderò di te
  9. Modena City Ramblers – La legge giusta
  10. Nuovo canzoniere Partigiano – Festa d’aprile
  11. Bandabardò – Tre passi avanti
  12. Lo ZOO di Berlino con Franco Fabbri – Pontelandolfo
  13. Gang – Marenostro
  14. Luca Bassanese – Il bombarolo
  15. Loris Vescovo – Sigur
  16. Simona Boo – Estate ’89 (Una storia dal mare)
  17. Paolo Capodacqua – I nidi degli uccelli
  18. Od Fulmine con Davide Toffolo – La verità
  19. Dany Franchi – Wanna know
  20. Franti – Quando me ne andrò
  21. Massimo Zamboni – Fine
  22. Umberto Maria Giardini – Molteplici e riflessi
  23. Subsonica – Preso blu
  24. Kina – Sabbie mobili
  25. Wu Ming Contigent – Peter Norman
  26. Daniele Sepe e i Fratelli della Costa – Cazzimmao (Pesciolini & pesci a brodo)
  27. Caparezza – L’uomo che premette
  28. Luca ‘O Zulù Persico – Bella ciao
  29. Mauràs – Majorana
  30. Signor K feat. ‘O Zulù – Corre forte la locomotiva
  31. Assalti Frontali – Roma meticcia
  32. Putan Club – Sens la mort
  33. Cesare Basile – Nesima rodeo
  34. Lalli e Stefano Risso – Le colline spezzate

Si può richiedere la raccolta in 2CD, con offerta libera e responsabile a: Genova Antifascista

Vennero in sella due gendarmi – 2CD per il fondo di difesa di Genova Antifascista

A Genova, il 23 maggio 2019, più di un migliaio di cittadini, si sono incontrati a Piazza Corvetto per esprimere la propria contrarietà ad un comizio di casa pound. Purtroppo ci fu una reazione spropositata delle forze dell’ordine verso il giornalista Stefano Origone di Repubblica e i partecipanti antifascisti. Il primo fu vittima e testimone delle violenze. Successivamente, agli altri sono arrivate 56 denunce e circa 60.000 euro di multe da pagare e quindi queste persone si dovranno difendere in tribunale dall’accusa di antifascismo. Una situazione, posso dire, paradossale.

Vennero in sella due gendarmi Copertina

Per dare una mano e per non far sentire soli, è nato un fondo di difesa e per sostenerlo Marco Pandin e Marco Sommariva hanno avuto l’idea di chiedere ad amici artisti un supporto. Musicisti, disegnatori, pittori, scrittori e performer hanno partecipato con una loro opera. Così è nata la raccolta in 2CD “Vennero in sella due gendarmi, vennero in sella con le armi“. Creata con il semplice passaparola, oltrepassando le distanze e gli stili espressivi dei partecipanti, ma con la volontà di unire la propria voce “in un coro di vibrante protesta“. I due Marco sono rimasti felici e anche un pochetto sorpresi da tutta questa solidarietà, per sostenere il fondo di difesa.

Tutti gli artisti, chi più o meno noto, hanno partecipato in maniera volontaria e del tutto gratuita. La raccolta è interessante e mi piace molto perché variegata, ma proprio dalla diversità di voci, suoni, disegni e parole, si respira un ossigeno vitale, che invita a non restare indifferenti. Un altro motivo per ascoltare “Vennero in sella due gendarmi, vennero in sella con le armi“, è che fra le canzoni vi sono parecchi inediti.
La copertina è una elaborazione grafica autorizzata di Zerocalcare e rappresenta un estintore, di tragica memoria: il G8 di Genova del 20 luglio del 2001.

Si può richiedere la raccolta in 2CD, con offerta libera e responsabile a: Marco Sommariva

Si ascoltare l’intervista a Marco Sommariva per Genova Antifascista a cura di Gianluca Polverari su: Radio Città Aperta Podcast.

Contributi scritti di:

Erri de Luca, Giansandro Merli, Franco Arminio, Maurizio Maggiani, Fabio Geda, Paolo Cognetti, Haidi Gaggio Giuliani, Max Mauro, Alessandro Spinazzi, Carmine Mangone, Stefano Giaccone, Marco Sommariva

Contributi grafici di:

Zerocalcare, Gaia Cocchi, Fabio Santin, Chiara Sestili, Elia Fortunato, Federico Zenoni, Stefano Sommariva, Shinbross [Giulio Sciaccaluga], NicoComix

Le canzoni del doppio CD “Vennero in sella due gendarmi, vennero in sella con le armi”:
  1. Giorgio Canali – Genova per noi
  2. Andrea Sigona – La ballata dell’innocenza
  3. Yo Yo Mundi con Marco Rovelli – Anarcobaleno
  4. Ascanio Celestini – La camminata del moribondo
  5. Mars on Pluto – La violenza
  6. L’Estorio Drolo – La chansoun de Nadu
  7. Alessio Lega – Matteotti
  8. Banda POPolare dell’Emilia Rossa – Non mi scorderò di te
  9. Modena City Ramblers – La legge giusta
  10. Nuovo canzoniere Partigiano – Festa d’aprile
  11. Bandabardò – Tre passi avanti
  12. Lo ZOO di Berlino con Franco Fabbri – Pontelandolfo
  13. Gang – Marenostro
  14. Luca Bassanese – Il bombarolo
  15. Loris Vescovo – Sigur
  16. Simona Boo – Estate ’89 (Una storia dal mare)
  17. Paolo Capodacqua – I nidi degli uccelli
  18. Od Fulmine con Davide Toffolo – La verità
  19. Dany Franchi – Wanna know
  20. Franti – Quando me ne andrò
  21. Massimo Zamboni – Fine
  22. Umberto Maria Giardini – Molteplici e riflessi
  23. Subsonica – Preso blu
  24. Kina – Sabbie mobili
  25. Wu Ming Contigent – Peter Norman
  26. Daniele Sepe e i Fratelli della Costa – Cazzimmao (Pesciolini & pesci a brodo)
  27. Caparezza – L’uomo che premette
  28. Luca ‘O Zulù Persico – Bella ciao
  29. Mauràs – Majorana
  30. Signor K feat. ‘O Zulù – Corre forte la locomotiva
  31. Assalti Frontali – Roma meticcia
  32. Putan Club – Sens la mort
  33. Cesare Basile – Nesima rodeo
  34. Lalli e Stefano Risso – Le colline spezzate

Si può richiedere la raccolta in 2CD, con offerta libera e responsabile a: Marco Sommariva

Franti 2016 situazione non classificata

Franti, riprendendo quelle situazioni …

Talvolta parlando con amici e conoscenti ci si chiede … e i Franti? Chi per curiosità, chi per amicizia ma soprattutto per chi l’esperienza lasciata dal collettivo musicale torinese era ed è rimasta importante.

Pur non amando le classificazioni, i Franti si autodefinirono una hardcore folk band.

Lalli, Stefano Giaccone e gli altri componenti dei Franti hanno continuato da soli o a volte incrociandosi ma troppo forte è la memoria musicale dei Franti lasciata a molto di noi, sulla società, sul lavoro, sul rapportarsi con gli altri. Tutto nasceva dalla loro musica per raggiungere chi aveva o ha il desiderio di non essere assimilato a una persona non pensante. Una delle loro caratteristiche fu di attenersi alla completa autogestione: dischi, cassette audio e concerti con la loro supervisione.

La non etichetta stella*nera di Marco Pandin ristabilisce un contatto con l’opera dei Franti, ristampando i 3 CD di “Non Classificato” e l’album di Stefano Dellifranti “Non un uomo né un soldo …”, entrambi esauriti da tempo. L’edizione del 2015 contiene i tre album e un libro ricco ricco di materiali sui Franti. Entrambe le edizioni sono state curate personalmente da Marco Pandin con Ettore Valmassoi e l’approvazione dei membri del gruppo torinese.

Dopo aver avuto fra le mani queste ristampe, ho voluto parlarne con Marco.

Domanda: Da dove nascono registrazioni de “Non un uomo né un soldo …”?
Risposta: Si era nel gennaio e febbraio 1991, prima guerra del Golfo, alla fine dell’escalation di eventi che avevano portato all’operazione Desert Storm. Stefano Giaccone, Lalli e Toni Ciavarra avevano raccolto una manciata di canzoni per dire ancora una volta no alla guerra. Sono bastate poche ore, buona la prima. Ne era stata fatta una cassetta a nome Stefano Dellifranti (+ Lalli e Toni), titolo “Non un uomo né un soldo”, messa in circolazione in poche copie di fattura casalinga, invitando a copiare e diffondere. Un messaggio in bottiglia, come si fa da sempre, affidato al mare con la speranza che non arrivi sulla spiaggia sbagliata.

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Stefano Dellifranti alias Stafano Giaccone

Stefano Dellifranti + Lalli e Toni Ciavarra Stefano Giaccone

Non un uomo né un soldo …” di Stefano Dellifranti esce in ristampa su CD-r, dal nastro realizzato nel 1991, ormai introvabile.
Si tratta di una delle diramazioni di Stefano Giaccone, alias Stefano Dellifranti.
Nella ristampa ho scoperto che oltre a Stefano vi sono i contributi strumentali e vocali di Lalli e Toni Ciavarra.

Il CD-r uscirà il 24 settembre e se sarete a Milano lo troverete al Liber Salone.

Riferimenti:
  • Il CD-r non è distribuito commercialmente, si può richiedere a stella*nera oppure a Dethector in cambio di un’offerta libera/consapevole.

Franti Non classificato edizione 2015

Franti Non classificato 2015 risquardi CD3 stella*nera stella *neraFinalmente stella*nera ha pubblicato una nuova edizione di Non classificato dei Franti, una delle più importanti band dell’underground italiano degli anni’80. I Franti si crearono uno stile proprio e ben riconoscibile nei testi e nella musica, mescolando le carte dei generi musicali: jazz, punk, new wave, blues, sperimentazione …
Parole e musica si fondevano nella loro vita, nel raccontare storie vere, raccolte fra la gente, in strada, in periferia, in fabbrica. Interpretando chi non voleva essere appiattito dalla società, ma essere una testa pensante e parlante.

Proprio come i Crass, i Franti erano anarcopunk nell’animo e quindi non scelsero delle vie facili per proporre la loro musica. L’idea di “prodotto musicale” dei Franti era di far nascere un qualcosa per confrontarsi con l’ascoltatore.
Lalli, Stefano Giaccone, Vanni Picciuolo, Massimo D’Ambrosio, Marco Ciari e gli altri compagni di musica non hanno aderito a movimenti musicali degli anni ’80. Hanno sempre creduto nell’idea dell’auto produzione (do it yourself): produrre i dischi, organizzare i concerti tramite una rete di conoscenze e passaparola … ecco come cresceva il loro pubblico.
I concerti creavano atmosfere molto coinvolgenti e profonde con gli ascoltatori, la musica ti si appiccicava addosso perché noi eravamo loro e loro noi.

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